“Time may change me | but I can’t trace time”. Iniziamo da qui. L’incredulità, lo sconcerto, quella conferma su twitter e la presa di coscienza, che sì, per lui, il Duca bianco, il tempo, nella notte tra il 10 e l’11 gennaio si è fermato. David Bowie ci ha regalato un ultimo album ma non ci sarà mai più un concerto, come il primo , per me, del 1991 al Teatro Smeraldo con il mio papà e il secondo nel 1999, all’Alcatraz, con la mia insostituibile amica Alessia. No, non sono qui a fare sentimentalismi ma un’analisi compiuta. Il tema? Il trasformismo. E il tempo.
Concetto oscuro se non fosse quotidianamente affrontabile e confrontabile, se non toccasse ogni nostra riflessione e obiettivo, se non riguardasse l’umano nella sua azione basilare, il vivere. Un musicista non è solo uno che sa suonare uno o più strumenti, leggere uno spartito, esercitare vocalità, comporre canzoni, un musicista è un interprete prima di tutto del tempo che vive, ma, come scrittori e poeti, anche del domani, perché in quel tempo futuro le sue note si dovranno ancora ascoltare e amare. Facile avere successo nell’oggi, più complesso mantenerlo nell’anno che verrà. Bowie, e non lui solo, questo dono l’aveva, il suddetto trasformismo, la capacità di leggere e interpretare la complessità, di guardare attentamente il domani, che di certo sarà ancora più complesso: l’evoluzione è indissolubilmente collegata alla complessità. Cosa ci lascia Bowie? Oltre a Hunky Dory, Ziggy Stardust, Young Americans e indescrivibili canzoni, quella sensazione che per scrivere capitoli di storia, la storia bisogna superarla. Come? Trasformandosi! Questo vale per le persone ma, a maggior ragione, per le aziende. La vision imprenditoriale consiste proprio nel saper disegnare la propria azienda nel futuro. Nel sapere che un successo di oggi deve mettere le basi per il successo di domani ma con le dovute differenze a volte enormi. O persino, che l’insuccesso di oggi, può evolvere in un successo futuro.
Questa non è solo teoria e per poterlo fare non è necessario essere illuminati dallo Spirito Santo, neanche Bowie, ahimè, credo lo fosse, ciò che è necessario è averne intanto consapevolezza e dotarsi di strumenti manageriali che aiutino in questo percorso. In particolare, strumenti di marketing, e metodologie adeguate a conoscere il proprio mercato, i propri clienti e a individuarne i bisogni ancora inespressi, ma anche strumenti di comprensione dell’andamento macroeconomico che consentano di disegnare lo scenario in cui l’azienda si troverà ad operare negli anni a venire. Niente di scontato ovviamente, gli strumenti sono necessari ma non sufficienti. Bowie è diventato Bowie mica per niente, così come Elvis ha cambiato la storia del rock e i Beatles l’hanno reso universale. Genio e talento, volontà e perseveranza, intuizione e metodo. In conclusione, Bowie si è trasformato, è nato nella trasformazione, la trasformazione ha fatto Bowie, questo è il suo testamento per me: saper essere interpreti della mutevolezza del mondo, non adeguandosi piuttosto vivendola con consapevolezza.
Il Duca è morto, viva il Duca!
Ascolto consigliato: Earthling, il Bowie degli anni ’90, elettronico, allucinogeno, eclettico e sempre The man who sold the world.
Lettura consigliata: Dottor Jekyll e Mister Hyde di Robert Louis Stevenson, oppure Marketing per crescere di P. e M. Kotler, Franco Angeli Editore.