Cosa vi aspettereste di trovare in un libro dal titolo “Ventotto domande per affrontare il futuro”?  O meglio: a quali fondamentali domande dovrebbe dare risposta?

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Certo alcune, le chiamo “esistenziali”, potrebbero sembrarvi consone: “Cosa è una vita sprecata? Cosa significa essere vivi? Cosa vale la pena sapere?”.  E, personalmente, lo è anche (consona) “Come ovviare alla carenza di anime gemelle” . Ma se nell’elenco delle 28 domande, che corrispondono ai 28 capitoli, ci trovaste anche “Cosa altro si può fare in un albergo?”. Cosa c’entra un albergo con la felicità e il futuro?

E’ stato inizialmente per rispondere a questa domanda – oltre che a quelle sulle anime gemelle – che ho comprato quello che adesso metto tra libri più illuminanti e stimolanti che abbia mai letto: 28 domande per affrontare il futuro, autore Theodore Zeldin, editore Sellerio. Insomma, ha prevalso inizialmente la curiosità di capire (deformazione professionale) cosa potesse c’entrare l’ospitalità con un libro che si dava l’ambizioso compito di guidare il lettore alla ricerca di “quello che è il meglio che la vita può offrire nel mondo attuale” e di dirci “cosa possiamo fare per immaginare una nuova arte del vivere”. Possibile che si possa passare anche da un albergo per riuscirci? Mi ero forse persa qualcosa? Peraltro di tal portata?

Ma chi è Zeldin?

Una prima risposta l’ho trovata nella biografia dell’ottantaduenne professore di Oxford. Scoperta colpevolmente tardiva, ma mi conforta lo stesso Zeldin: le nostre opportunità, dice, nascono anche dall’ ”essere curiosi di qualcosa o qualcuno, nell’ umile riconoscimento del fatto che non sappiamo tutto o che non siamo soddisfatti di quello che sappiamo”. Ho colto dunque la mia opportunità.

Cosa so di Zeldin adesso? Ancora poco, temo. Filosofo e storico, consigliere di aziende, istituzioni e organizzazioni internazionali, è fondatore e presidente dell’ Oxford Muse Foundation, membro del BBC Brain Trust, professore emerito ad Oxford ed è stato indicato da “The Independent on Sunday” tra le quaranta personalità le cui idee possono influenzare il nuovo millennio. Anche se preferisce (poi capirete perché) di gran lunga dialogare – “preferisco fare una conversazione anziché scrivere un articolo accademico” – Zeldin scrive, ed i suoi libri sono stati tradotti in ben 24 lingue.

Emozioni, Relazioni e Conversazioni

Di cosa scrive? Difficile essere esaustivi. E’ come iniziare un viaggio potenzialmente infinito. Ma il suo lavoro, in equilibrio tra filosofia, storia, sociologia ed economia, ruota anzitutto attorno ad tra elementi fondamentali: emozioni, relazioni e conversazioni . E al ruolo che svolgono in tutti gli aspetti della nostra vita. Perché tutto, felicità compresa, ad emozioni, relazioni e conversazioni, è correlato. Il benessere, il rapporto tra sessi e tra generazioni, ma anche l’arte e la politica, l’impresa, il lavoro e la religione.

Il libro

28 domande per affrontare il futuro raccoglie 20 anni di lavoro, incontri e conversazioni appunto. Il libro è un invito ad esplorare la propria vita guardando a quella altrui, attraversando epoche e civiltà diverse. Guardando al passato (ogni capitolo rimanda all’esperienza di un personaggio storico, più o meno noto), perché “aggiungere i ricordi di altri ai propri modifica l’idea di ciò che è possibile fare in una vita”. E guardando agli altri, perché, “la più grande avventura del nostro tempo, è scoprire gli abitanti di questo pianeta”. L’interazione tra individui, i legami emotivi, intellettuali e culturali sono il vero motore del cambiamento. Perché quello che non possiamo vivere in prima persona possiamo immaginarlo, grazie alle conoscenze di altri che si sono spinti in direzioni diverse o più avanti di noi. Invece di restare immobili, senza saper cosa scegliere tra infinite possibilità o di perdere tempo nella ricerca solitaria di risposte alle nostre domande, Zeldin ci invita a pensare in risposta ai pensieri degli altri, lasciando che ci fecondino dando vita a nuovi pensieri. Lo strumento: la conversazione. Da riscoprire e coltivare. Scambio, “esplorazione di nuovi territori”, risorsa che da a tutti, indistintamente, la possibilità di contribuire a cambiare il mondo in cui viviamo.

E l’albergo?

A questo punto è il caso di tornare alla domanda iniziale: “cosa c’entra l’albergo?”

Nel 2012 il numero di turisti nel mondo ha raggiunto il miliardo, mai prima d’ora tanti sconosciuti si sono incrociati di solito in silenzio, senza mostrare né chiedere cosa pensino gli uni degli altri e di sé stessi”.

Ma siamo sicuri sia questa l’unica soluzione possibile?

Dalla convivialità all’efficienza…e ritorno?

“Il successo commerciale degli alberghi è andato di pari passo con il restringimento dei loro obiettivi sociali”, scrive Zeldin. Nel 19° secolo gli americani riconobbero l’importanza degli alberghi come luoghi di incontro per ogni genere di attività. Costruirono grandi spazi comuni anche per mangiare, sale riunioni, sale di lettura. Li immaginavano come l’“equivalente dell’agorà greca, dove tutti cittadini potevano incontrarsi”. Facilitarono i contatti personali, avvicinando i migranti del continente.  Poi si è assistito all’adozione dei metodi di produzione di massa, alla riduzione dei prezzi, alla standardizzazione e all’adozione di procedure rigorose. E poi alla specializzazione della professione, alla nascita delle grandi catene alberghiere,  di pari passo con l’univoco orientamento al profitto, la monetizzazione della gentilezza, l’enfatizzazione del lusso, la strenua difesa della privacy.

Oggi però, se da un lato vogliamo tutti difendere con le unghie e con i denti la nostra privacy, dall’altro vogliamo anche essere riconosciuti come speciali. Vogliamo incontrare persone che non conosciamo. Vogliamo vedere posti che i turisti non visitano. Abbiamo fatto nascere forme alternative all’albergo e nuovi modi di vivere l’esperienza in un territorio. Gli alberghi invece “continuano ad essere gestiti con criteri obsoleti” alla “disperata ricerca di profitti immediati” . E se ci fosse un’alternativa allo spendere somme ingenti per rendere gli alberghi ancor più lussuosi ed efficienti per poter alzare ancora i prezzi? E se l’alternativa fosse tornare ad “un maggior interesse alla conoscenza, all’immaginazione e alle ambizioni di ciascun turista”?

Ospiti, dipendenti e silenzio

La metà degli ospiti di un grossa catena alberghiera, oggetto di studio da parte di Zeldin e della sua Fondazione,  ha dichiarato che, concluso quello che era venuta a fare, in attesa di altri appuntamenti, avrebbe volentieri occupato le molte ore vuote conoscendo qualche famiglia locale o altri professionisti del posto o ospiti presenti nello stesso albergo, che potevano insegnargli qualcosa di utile o con cui condividere interessi. Certo un concierge può trovare i biglietti per il teatro, ma non conosce a sufficienza gli altri ospiti o gli abitanti della città per suggerire incontri interessanti.

E che dire dei dipendenti di un albergo? Zeldin parla di alberghi come “succursali in miniatura delle Nazioni Unite”. Persone provenienti da tutto il mondo. Cameriere laureate che conoscono più lingue, barman che studiano per un MBA, portieri che studiano da infermieri. Tutte cose che le fredde banche dati delle risorse umane normalmente non raccolgono. E, soprattutto, personale che incrociamo in silenzio, a cui viene chiesto di non “fraternizzare” con gli ospiti. Perché grandi e piccole catene sottovalutano il ruolo che potrebbero avere i loro collaboratori nell’arricchire la nostra esperienza di soggiorno? E viceversa.

Nuove agorà

E se fossero gli alberghi i primi ad agire come intermediari per la creazione di relazioni più profonde e consapevoli, suggerisce Zeldin. Tra i loro ospiti, tra ospiti e dipendenti, tra ospiti e gli abitanti delle città in cui si trovano.Non vi è alcun motivo per cui gli alberghi dovrebbero restare sempre e solo fornitori passivi di stanze in cui le organizzazioni esterne possono tenere conferenze” . Perché non possono essere loro stessi a “organizzare incontri e occasioni di conversazione”? Perché non soddisfare il bisogno, sempre più crescente, di chi non vuole semplicemente godere del lusso, ma conoscere ed apprendere da persone nuove? Invece di coccolare fisicamente i loro ospiti potrebbero interessarsi ai loro pensieri ai loro cuori ed essere riconosciuti come fonte di ispirazione culturale.” 

Dal “Chi sono io” al “Chi sei tu”

Non facilmente attuabile? Certo. Non applicabile a tutti i contesti? Forse è solo una questione di “tempi”. Certamente, sfidante. Come tutto il pensiero di Zeldin. E come i 28 capitoli del libro, che possono essere letti separamente, non necessariamente in ordine.  28 tracce, sui temi più disparati, che si incrociano e sovrappongono, che fanno pensare, che aprono orizzonti, che ci fanno riflettere su pensieri, atteggiamenti e comportamenti.

Con un invito, rivolto a tutti, privati, aziende ed organizzazioni. Quello a spostare il nostro punto di osservazione: dal secolare “Chi sono io” ad un nuovo “Chi sei tu”. Perché solo dall’interesse per l’altro nasce la possibilità di immaginare un futuro.