Combattere e far fuori i nemici non serve più a nulla. In termini di costi/benefici è solo fatica. Le campagne di conquista in grande stile sono diventate troppo onerose, servono solo all’ego e i prigionieri costano.

Questa che avete letto è un’illuminata affermazione (o forse semplicemente non riusciva più a sostenerne la fatica) di un manager di una multinazionale ascoltata ad una convention.

La crisi, parola che aleggia ancora intorno a noi senza spiegare nulla,  forse ha cambiato qualcosa nella testa di molti.

Abbiamo capito che forse è meglio un po’ meno, ma di qualità superiore? Forse invece di affrontarsi come gladiatori nell’arena è meglio costruire assieme?

Essere guerrieri costa fatica e i risultati ottenuti vanno mantenuti investendo ancora energie. Essere sorridenti e disponibili alla collaborazione abbassa notevolmente il costo in termini di fatica e spesso alza la produttività. O semplicemente la qualità delle nostre giornate.

motivations employeeMa c’è un terreno in cui questo cambiamento non è ancora avvenuto e la battaglia è ancora feroce, piena di recriminazioni e di incomprensioni.

La bella vita tra datore di lavoro e dipendenti.

Come sapete io tengo molto alle parole (come ho scritto qui). Le parole sono molto più che suoni dalle corde vocali, sono il nostro pensiero e se continuiamo a pensare che il datore di lavoro sia qualcuno che dà qualcosa (come se ne avesse i magazzini pieni) e qualcun altro, il dipendente, dipenda da questo come un affamato significa che ancora una volta non ci siamo accorti che il mondo è cambiato.

Continuiamo a pensare ad un piano sfalsato in cui qualcuno è sopra e qualcun altro sotto, quando ormai il piano è lo stesso con ruoli differenti.

Quest’estate un mio caro amico è stato licenziato.

Quarantadue anni, prima volta che gli succedeva. Mi è dispiaciuto moltissimo perché lo ritengo una persona davvero in gamba e, nel posto dove lavorava come responsabile, si sentiva davvero responsabile del buon andamento dell’azienda, aveva dato molto più dell’essere un semplice “dipendente” in termini di lavoro fisico e soprattutto in termini di idee.

Ma lui che è fondamentalmente una persona curiosa e piena di interessi: si è rimesso in gioco. Ora  lo sento poco perché nel giro di due mesi ha trovato un’altra occasione, entusiasmante dice.

Ero molto curioso di cosa fosse successo in questi due mesi e di come fosse riuscito a trasformare un evento, che può sembrare tragico, in un nuovo modo di vedere le cose.

Quattro consigli per affrontare il mondo del lavoro 

Durante una lunga chiacchierata serale mi ha raccontato quello che aveva capito nei mesi di disoccupazione trascorsi tra colloqui surreali, proposte bizzarre e belle persone.

1. Iscriversi alle agenzie interinali non serve a nulla se non hai una qualifica specifica come cuoco, badante o infermiere domiciliare.

Non riescono a vendere se non sanno cos’è il prodotto. Il mio amico, che nel curriculum oltre ai lavori seri, ha anche scrittura, teatro, esperienze educative, e questo terreno collaterale da una parte lo rende la persona interessante che è, dall’altra lo rende difficile da inquadrare e quindi da vendere. Sette agenzie in due mesi colloqui ottenuti: zero.

2. È fondamentale essere una persona degna di fiducia.

I colloqui seri, in quei mesi di attesa, sono arrivati grazie a ex colleghi ed ex capi che hanno deciso di metterci la faccia e presentarlo a qualche fornitore. “Persone che hanno fiducia in me” mi dice “ho capito in quel momento cosa significa reputazione. Qualcuno che decide di fare il tuo nome perché sei degno di fiducia”. Non è una questione da poco.

3. L’imprenditore è uno che lavora come me.

È una frase sconvolgente per il consueto modo di pensare, ma, mi diceva quella sera, se pensi che quello che sta davanti a te, un imprenditore non un datore di lavoro, è una persona con una grande passione, una fottuta necessità di programmare il lavoro e soprattutto non può farlo da solo quindi ha bisogno di persone che lavorano con lui e non per lui; se sei un collaboratore inizi a ragionare in modo differente. Capisci che forse è il caso di porsi in un’altra ottica del “ti vendo le mie 8 ore e tu mi dai un tot”.

4. Sono qui e imparo.

Troppo spesso pensiamo di sapere come si lavora, che quello che abbiamo fatto fino al giorno primacollaborazione andava bene e andrà bene. Tutto è migliorabile nella vita lavorativa, ma ci vuole tempo per farlo e sopratutto al momento opportuno. I giovani vorrebbero fare la rivoluzione, i vecchi anche ma per il motivo opposto cioè fare come facevano prima. “Mi sono messo in testa che potevamo imparare assieme e questa disponibilità è percepita come collaborazione”, mi dice sorridendomi mentre beve un sorso di birra.

E adesso?

La sua felice occasione di oggi è nata proprio su questi presupposti. Si è reso disponibile ad imparare e rimettersi in gioco (si è perfino rimesso a studiare), ha una “buona reputazione” che l’imprenditore ha colto e durante le chiacchierate conoscitive con questa persona, da bravo commerciale, ha saputo sottolineare alcune necessità, facendo capire che c’era un bisogno che lui avrebbe potuto risolvere.

Ma soprattutto è successa una cosa rivoluzionaria: l’imprenditore l’ha scelto per quel terreno collaterale non specifico di cui è fatto e non solo per le capacità scritte sul curriculum. Un imprenditore davvero illuminato, non c’è che dire, andando contro il normale pensare. Probabilmente anche questa è una forma di innovazione.

Ma questo è un altro post.