Squillino le trombe, giubilo e festa in ogni dove; dopo anni di dibattito, raccolte firme, rivendicazioni e contrattazioni, sembra proprio che il momento tanto desiderato sia arrivato, il lavoro agile, quel modus operandi che determina le vite di tanti lavoratori, diventerà legge.
Lo so che non ci volete credere, ma in un momento di cambiamenti epocali (reali, falsi o presunti), anche il lavoro, quella vecchia e noiosa rogna per cui migliaia di persone, nei secoli, hanno lottato e sono morte, quell’adoperarsi che certo non rende liberi ma forse indipendenti sì, torna ad interessare il nostro beneamato Parlamento.
Mentre la Chiesa dice no alle unioni gay, ma, per l’amordiddio, la comunione ai divorziati certo non si può negarla, anzi “i battezzati divorziati devono essere sostenuti e integrati nella comunità cristiana nei diversi modi possibili, evitando ogni occasione di scandalo”, così recita la relatio finale del Sinodo conclusosi proprio ieri. Sarà una mia sensazione, ma qui si sostengono sempre le persone sbagliate: pensionati, disoccupati, emarginati? No; tutti gli altri.
Comunque, tornando alla nostra legge, l’interesse pare proprio quello di conciliare produttività e flessibilità, sia per categorie specifiche – vedi donne o categorie protette – sia per tutti quei lavoratori che vogliono svolgere il proprio lavoro in remoto senza una postazione fissa, fuori quindi dai locali aziendali.
Il ddl mira a stabilire modalità di svolgimento ma anche requisiti, sicurezza, retribuzione e diritti del lavoratore smart che saranno uniformati a quelli del lavoratore tradizionale.
Perché parlo di cambiamento a metà? Per due motivi, uno che riguarda le aziende e uno che riguarda i lavoratori. Sono convinta che l’Italia non sia pronta a tutto questo, le PMI che nel nostro paese determinano la maggioranza della realtà produttiva non si sono ancora attrezzate per un sistema di lavoro diverso (i dati ci dicono che un’impresa su due non sa di che cosa stiamo parlando trattando di smart working). D’altra parte, non vorrei che i benefici dello smart working fossero tutti dell’azienda, gravando il lavoratore, che sì può decidere modi, tempistiche e modalità di lavoro, di costi che in precedenza non erano a suo appannaggio: tecnologia (indispensabile per poter dialogare con la sede centrale), consumi, spostamenti.
Speriamo che questo ddl ci chiarisca qualche dubbio, nel frattempo rendiamoci smart, cambiamo, noi per primi il mondo del lavoro!