Quando si legge di reti e di partnership si vedono tutte queste belle metafore auliche. Qui secondo me stiamo facendo l’errore del gomitolo illustrato ad InspiringPR con People Branding. Le reti e le partnership sono rovi con spine e confusione. Poi sì, ci sono anche le more, ma non bisogna confondere il risultato con il viaggio. Mi spiego meglio.
Le reti e le partnership sono quello che avviene tra un gruppo di persone, quando inizia a lavorare in modo congiunto e condiviso, e il risultato di quel lavoro. In altre parole, non sono l’intenzione di fare ma sono il come realizzi e raggiungi qualcosa. Le reti e le partnership sono una questione di gestione più che di semplice costituzione-regolamento-notaio. In particolare, reti, partnership e alleanze devono tenere in conto tre fattori*: governance, a-sincronicità e a-spazialità.
1. La governance
Metto in chiaro che la parola Manager di Rete è per me un ossimoro, cioè due parole che assieme non stanno bene. Disperdi la capacità di ascoltare, di rilevare, di pensare e di agire e accentri in una persona la sua gestione. Le cose sono due o stai costruendo una rete solo per sfruttare le economie di scala e allora va bene. Però non aspettarti le more. I merli arriveranno prima della loro maturazione. Oppure stai usando un paradigma del passato su una struttura attuale.
Gestire i processi di una rete implica almeno tre livelli: l’organizzazione personale (quella del singolo partecipante alla rete), l’organizzazione funzionale (quella legata alla esecuzione di un singolo progetto o di una singola funzione) , l’organizzazione manageriale (quella legata al funzionamento e alla gestione della rete nel suo complesso). Questi tre livelli non possono né essere governati dal basso né dall’alto. Non possono essere né totalmente informali, né totalmente burocraticizzati. Abbiamo bisogno di forme miste tra gerarchia e anarchia.
2. L’a-sincronicità.
Le comunicazioni sono a-sincrone, quando si lavora in rete, almeno che non vogliate passare il tempo al telefono o in interminabili riunioni dovete arrendervi all’idea che le comunicazioni sono asincrone. Scritte per mail o con altri sistemi. Basterebbe solo questa considerazione per far comprendere che fare rete è un problema organizzativo. A questo si aggiunge che ogni entità della rete lavora con il suo ritmo, i suoi tempi e la propria gestione del tempo. Lavorare in rete richiede e impone la capacità di imparare un metodo per gestire i flussi di conoscenza in modo fluido.
3. L’a-spazialità.
Non c’è la macchinetta del caffé, non c’è il corridoio, non ci sono nemmeno le riunioni del lunedì, o per lo meno non ci sono ogni lunedì. Questo non è un’ostacolo, è il principale ostacolo da affrontare. La mancata condivisione dello stesso ufficio non permette di apprendere e insegnare facendo (learning by doing). Si richiede di programmare meglio e di più le nostre azioni uscendo da un approccio tipico del nostro territorio e spingendoci verso la formalizzazione di processi e strutture.
Le reti sono una piattaforma e per funzionare richiedono un framework di regole, processi e strumenti.
Non possiamo giocare a tennis senza righe nel campo. Lo stesso vale per una rete di imprese: non può essere gestita senza una definizione di processi, ruoli e responsabilità.
La rete oggi non può e non deve ridursi ad una questione di comodità, riduzione di costi ed economie di scala. La rete è uno strumento di frontiera (di conoscenza e organizzazione) e va vissuto e affrontato come tale, con soluzioni nuove.
*Questo l’ho imparato con FrogMarketing – una rete di persone, una rete di freelance – . Non siamo perfetti ma siamo in evoluzione. Non abbiamo soluzioni ma ci proviamo; sempre. Abbiamo raccolto alcune more e scoperto quali errori evitare.