Domanda: quali sono gli ingredienti del successo?
Uno sguardo ai vari libri di auto-motivazione, a letture più o meno scientifiche, statistiche più o meno serie, al comune sentire o anche alle chiacchiere da ombrellone vista mare, e provo a buttar lì alla rinfusa: competenza, duro lavoro, l’essere visibili, il talento, ah beh….una buona dose di fortuna, una forte autostima, i giusti contatti, l’essere un pochetto “stronzi”, altezza e bellezza (sì, perché periodicamente di studi sull’argomento ne escono, con somma gioia del mio metro e 65 tirato).
Certo, ne mancheranno alcune, e su altre potreste dissentire, ma vi dirò, dimenticatele per un attimo. E provate a cambiare punto di osservazione. Date una chance a relazioni autentiche, fiducia, rispetto, gentilezza, condivisione e altruismo. Ad un modo sostenibile di fare grandi cose.
Ancor meglio, visto che l’estate non è ancora finita e magari la vostra lista non è completa, date una chance ad un libro. Più dai più hai. Anno 2013. Autore: Adam Grant. Che, per aggiungere due note biografiche (ma per tutto il resto date un occhio qui) è il più giovane professore ordinario della Wharton School, Università della Pennsylvania, prestigiosa scuola di business, esperto di psicologia del lavoro, nominato da Business Week tra i 40 migliori docenti di business sotto i quarant’anni.
Quindi, se il titolo e quanto vi ho detto sopra vi avessero fatto pensar per un attimo a qualche parabola francescana o ad un libro buonista, molto più vicino ad una favola, niente paura. L’approccio è scientifico, scrupoloso, concreto e pratico. Grant riporta ricerche e dati, analizza vita lavorativa, familiare e personale di personaggi più o meno noti. Riporta storie di studenti, medici, avvocati, imprenditori, ma anche professori affermati e Capi di Stato.
Per dimostrare un semplice fatto: sia che si tratti del dipendente di una piccola o grande azienda, di un medico, di venditore, o appunto di un imprenditore, che si parli di vita professionale o vita privata,
chi antepone in modo disinteressato il dare agli altri rispetto al prendere, chi mette a disposizione e condivide capacità, conoscenza, idee, senza anteporre la sua visibilità e i suoi obiettivi, vince.
Ed è una vittoria ampia perché, con lui, vince anche chi gli sta intorno, anzi “scala le vette del successo senza stroncare gli altri, trovando il modo di ingrandire la torta affinché tutti possano prenderne una fetta”.
Ecco dunque i Giver, che si antepongono a Matcher (che, nel rapporto dare-avere puntano ad un sano pareggio) e Taker (che prendono e basta).
Nel libro Grant racconta e delinea tutti i e tre i profili, analizzandone motivazioni, azioni e risultati. E Matcher e Taker, sopresa, non li troverete in testa alla classifica. Vinco i Giver, i “bravi ragazzi”. Ma aggiunge qualcosa di più: qualche suggerimento strategico. Si, perché alcuni Giver dilapidano lungo strada le loro risorse e finiscono a fondo classifica. Quindi, giusto essere Giver o imparare ad esserlo, ma si tratta di “farlo nel modo giusto”. Essere Giver “sani”.
Questa l’evolversi del libro, in estrema sintesi. Lascio a chi volesse leggerlo il piacere di perdersi tra le storie di George Meyer, Giver poco noto ai più, ma che sta dietro il successo dei Simpson o Adam Rifking, Giver puro che la rivista Fortune ha nominato il migliore tessitore di reti del mondo.
Torno invece al titolo – se avete pensato per un attimo che vi parlassi di cucina, purtroppo non è il mio – e alla domanda iniziale, quella sul segreto del successo se non siete alti almeno 1 metro 80.
Credo che la cosa più importante che ci racconta e dimostra Grant è che gli ingredienti, quelli per la realizzazione personale e professionale, stanno cambiando.
Piuttosto che rincorre la nostra fetta di torta, in un mercato ed in un mondo del lavoro sempre più interdipendente e collaborativo, dovremmo prestare attenzione a come scegliamo gli ingredienti della torta che vorremo sfornare. Mescolandoli bene.
Si, perché se li usiamo bene possiamo sfornare una torta che si ingrandisce sempre più. Nelle comunità dove operano i Giver, infatti, il risultato è sempre maggiore rispetto alla somma di ciò che ciascuna delle singole parti mette sul tavolo.
E quali sarebbero gli ingredienti magici che producono l’effetto moltiplicatore?
- Ovviamente, Il dare. Da non intendersi come strumentale allo scambio. E’ un dare che non prendete reciprocità. Ma da cui nasce sempre e comunque qualcosa di buono. L’altruismo, infatti, crea un’atmosfera di fiducia e reciproca collaborazione. E’ contagioso. Porta ad altri atti di altruismo. Incrementa l’altruismo complessivo.
- Le relazioni. Non quelle strumentali. Quelle studiate, calcolate. Finalizzate solo ad ottenere visibilità. Quelle che finiscono talvolta per diventare più importanti del lavoro stesso. Quelle che contano sono le relazioni autentiche, disinteressate e che si fondano su fiducia reciproca. Sono le relazioni interpersonali significative. Quelle che resistono al tempo. E che possiamo riattivare in qualsiasi momento.
- La condivisione e l’aiuto. Condividere apertamente informazioni, aiutare gli altri a risolvere problemi, aggiungere valore ai loro progetti. Il successo può essere misurato anche in funzione dei risultati che facciamo raggiungere ad altri. E, nella logica della torta che si ingrandisce, ciò non riduce la nostra fetta, anzi la moltiplica. Ambienti di lavoro dove sono forti condivisione ed aiuto portano a risultati maggiori di produttività e profitto all’azienda, aumentano la qualità di prodotti e servizi, la soddisfazione del cliente e quella degli stessi dipendenti.
- L’ascolto e l’empatia. L’attribuire più importanza all’altro, a ciò di cui ha bisogno. Il chiedere ed ascoltare con vero interesse, immaginando il suo punto di vista “anziché rimanere ancorati alla propria visione del mondo”. Ascolto ed Empatia sono il presupposto della fiducia e delle relazioni autentiche. Sono gli ingredienti che “legano” tutti gli altri.
- La collaborazione. Non conta come noi facciamo le cose. Da soli. Per quanto siamo bravi a farle, conta se le facciamo coinvolgendo gli altri. “Anche per lavori in apparenza indipendenti, il nostro successo dipende dagli altri più di quanto non pensiamo”.
Troppi o troppo pochi per una torta ben riuscita? Non saprei. La mia lista non pretende di essere esaustiva. Per quanto oggettivo possa essere il giudizio su di un libro, ciascuno trae gli spunti che più sono vicini al suo sentire, al proprio percorso lavorativo e non. Nel tutto, ho evidenziato, forse, quello in cui più mi riconosco. E se qualcuno di voi avesse letto il libro mi piacerebbe davvero sapere cosa ne pensa.
Troppo distanti dalla realtà? Personalmente mi ritrovo nel messaggio di Grant: a ben guardare non sono così difficili da trovare.