Fino a qualche anno fa, il marketing e la comunicazione erano un monologo.

Gli specialisti di marketing investivano tempo, talento e denaro per trasmettere messaggi concepiti per essere in armonia con ogni fase del ciclo teorico di acquisto: conoscenza del prodotto, ricerca, valutazione, verifica, trattativa e transazione. Il ruolo primario del marketing era spingere (push) i clienti dentro un ipotetico imbuto fino al punto di vendita. Per raggiungere l’obiettivo si potevano utilizzare diversi strumenti di comunicazione: dalla televisione alla stampa; dalla radio alle affissioni; dalle promozioni al direct marketing; dall’editoria alle relazioni pubbliche.

Questo modello lineare di comunicazione atto a raggiungere e influenzare un pubblico per la maggior parte indifferenziato, ha dominato le strategie per tutto il ventesimo secolo. Il web ha modificato lo scenario in maniera radicale.

Oggi l’imbuto si è rovesciato: non esistono masse disposte a farsi spingere da qualche parte, la vera sfida è individuare quella rosa ristretta di stakeholder in grado di diventare convinti “ambasciatori del messaggio”. Saranno loro a prendere possesso del nostro messaggio e a creare quell’effetto “virale” che sembra essere diventato l’eldorado dei comunicatori.

Un cambiamento culturale e non (solo) tecnologico

In realtà il cambiamento è culturale e non (solo) tecnologico: le tecniche online trasformano il ruolo del marketing da monologo alla costruzione di un dialogo con il consumatore.

La nuova moneta universale è l’attenzione, ma la sua disponibilità è sempre più scarsa anche in presenza di contenuti validi e preziosi.

—Luca De Biase

In questo nuovo contesto la rilevanza del messaggio (il “che cosa” ed il “come comunico”) è più importante della sua ripetizione. Proprio per questo è necessario tornare alle origini della comunicazione: comunicare significa scambiare qualcosa di valore con il nostro interlocutore, vivere il messaggio come un dono che si regala senza attendere nulla in cambio. Un dono che, come tutti i regali sinceri, dovrà essere fatto con la testa (ragionando sulle caratteristiche uniche della persona che abbiamo davanti) e con il cuore (coltivando la consapevolezza delle emozioni che questo dono provocherà nell’Altro).

Quali sono i segnali più evidenti di questa trasformazione dei mercati?

Li sintetizzo in cinque coppie di opposti.

1. Dal solido al liquido (ma una grande voglia di comunità)

Dalle solide certezze dei modelli economici universalmente accettati allo scioglimento del “capitalismo” sotto assedio. Dalla fitta e stabile rete delle relazioni tradizionali (famiglia – stato – partito – chiesa) alla liquidità di relazioni labili e con una porta d’uscita sempre aperta (blocchiamo i nostri amici su Facebook, cancelliamo con un click i nostri follower su Twitter).

Eppure in questa società liquida e in perenne movimento si riscoprono nicchie identitarie che affondano le loro radici nella terra (il boom dei prodotti tipici non è moda passeggera), nella comunità (act locally, think globally), nell’appartenenza a realtà geografiche più o meno fittizie (la Padania).

Non parliamo di contraddizioni ma di nicchie di certezza e stabilità che si annidano nel perenne movimento della liquidità.

2. Dalla Propaganda alla Relazione 

importanza di cosa dico e non quanto lo ripetoSiamo, infatti, passati da una comunicazione unidirezionale ad una comunicazione bi-direzionale, ovvero: da una comunicazione push ad una comunicazione pull.

Questo nuovo paradigma trasforma radicalmente le organizzazioni e ne modifica profondamente le strategie di comunicazione e si afferma l’importanza del ricevente e dell’ascolto e non dell’emittente.

Quando la comunicazione passa da unidirezionale a bidirezionale, cambia anche l’atteggiamento dei pubblici del sistema che tendono a collaborare con determinazione per raggiungere obiettivi comuni, con una conseguente ottimizzazione delle risorse impiegate (umane ed economiche). Questo percorso non è ancora concluso, anzi. Troppo spesso la comunicazione viene ancora “ridotta” a messaggio unidirezionale, magari vestita di “verde” e di “sociale”, a pubblicità, a propaganda.

Senza cuore la comunicazione diventa pubblicità e propaganda.

—Gianluca Nicoletti

E, aggiungio, non costruisce fiducia.

 3. Dalla Conservazione al Cambiamento 

Le aziende si trovano oggi ad agire il management e le organizzazioni: una permanente incertezza, che richiede risposte e adattamenti in tempi molto rapidi per fronteggiare un mercato nuovo, impegnativo, globale, ipercompetitivo.

Il cambiamento non può più essere considerato una fase transitoria dell’evoluzione aziendale, essendo divenuto il normale stato delle organizzazioni contemporanee, chiamate ad essere continuamente mutanti

—Marco Minghetti e Fabiana Cutrano

Rispetto a questa situazione occorre innanzitutto capire quali cambiamenti sono reali e profondi e quali invece sono solo superficiali e passeggeri. Se non comprendiamo di essere in presenza di cambiamenti profondi, corriamo infatti il rischio di perdere occasioni di sviluppo e di crescita e di bloccarci in una situazione di immobilismo, anticamera del fallimento. La sostenibilità, la centralità della persona (sia essa lavoratore dipendente o consumatore) e la responsabilità sociale sono 3 elementi destinati a diventare permanenti.

 4. Dall’immagine alla reputazione

Immagine e reputazione sono concetti molto diversi, anche se spesso vengono usati come sinonimi. L’immagine è infatti legata alla capacità dell’organizzazione di gestire e influenzare nel breve periodo le percezioni che i pubblici hanno della stessa, rendendo visibili e note le proprie competenze distintive. La reputazione, invece, è radicata nel modo di agire dell’organizzazione, fa parte integrante della sua identità e rientra in una logica di lungo periodo. La reputazione è legata alla fiducia e all’affidabilità dell’impresa ed è una sintesi delle informazioni e dei comportamenti dei pubblici interni e di tutti gli interlocutori che sono entrati in contatto diretto con l’impresa stessa (la credibilità delle fonti è infatti la base per la formazione di una buona reputazione).

Non basta l'immagine serve una buona reputazione

 

Senza una buona reputazione non è possibile avere una buona immagine: l’immagine è infatti fondata su aspetti esteriori mentre la reputazione è radicata in aspetti consistenti e profondi con particolare riferimento ai comportamenti agiti.

5. Dalla Vendita alla Relazione 

Per creare “valore” bisogna saper gestire relazioni e non database. Se si accetta che “i prodotti vanno e vengono, i clienti rimangono” (R. Rust e V. Zeithaml), si comprende subito l’importanza di avere una solida base di clienti fedeli e collaborativi: un grande vantaggio competitivo per l’azienda.

Non potete entrare nel portafoglio del vostro cliente se non siete entrati prima nella sua testa e nel suo cuore.

—Frederick Newell

Michele Costabile lo chiama capitale relazionale e indica con questo termine lo “stock” di fiducia, fedeltà e lealtà che deve essere accumulato dall’impresa per poter accrescere la propria capacità competitiva ed il proprio valore di mercato nel tempo. Ciò che dà grande valore al capitale relazionale è infatti che esso non è acquistabile da terzi, ma può essere prodotto esclusivamente per accumulazione di relazioni nel tempo, sia in termini quantitativi (numero delle relazioni) che qualitativi; sia verso i clienti/consumatori (tradizionalmente gestiti dall’ufficio marketing) ma anche verso tutto il sistema delle relazioni che caratterizza i pubblici dell’organizzazione (shareholder, stakeholder, pubblici influenti e destinatari finali compresi).