makers-anderson1Premessa: settimana scorsa mi è capitato per caso di leggere, segnalato da un amico, un post di Andrea Coccia con un’intervista a Davide Colombo, mente de Il Deboscio, blog seguitissimo. 

Il post tira fuori dal cappello un tema interessante, e ultimamente molto frequentato. Troppo spesso vittima di bla bla bla, il ritorno all’artigianato, quello vero – quello associato alla mitica formula dello “sporcarsi le mani” che in questo caso non significa farsi coinvolgere in qualche fumoso progetto, ma appassionarsi ad un mestiere, lavorare con le mani (e sempre anche con il cervello!), ritornare a guardare le cose dalla giusta prospettiva, con gli occhi finalmente purificati da sogni americani e modelli economici fallimentari – potrebbe davvero essere il trend dei prossimi anni. E per trend, non intendo necessariamente una cosa figa, di cui parlano i giornali di moda, da copertina di Vogue, intendo un cambiamento radicale che possa far ripartire l’economia, che occupi i tantissimi giovani che sono a casa a girarsi i pollici, convinti che quella laurea in tasca li avrebbe incoronati re di un mondo ideale ma tristemente irreale.

Seconda premessa: giovedì scorso sono andata a Parigi. Voi direte, sai la novità? Il ponte dell’Immacolata a Parigi, ma dai!? Vabbè, ma io ci sono andata anche per lavoro. E mi sono guardata intorno.
Vi butto lì qualche dato così per cominciare: la Francia ha 66 milioni di abitanti, l’Italia 59,83 milioni, siamo lì. In Francia la popolazione attiva (i lavoratori) sono circa 28 milioni, ovvero poco più del 40% della popolazione, in Italia siamo a 24,3 milioni. E fin qui abbastanza bene. Veniamo ora ai dati di occupazione, nel 2013 in Italia era occupato il 55,6% della popolazione attiva (con un tasso di disoccupazione del 12,9%), in Francia nel 2013 il tasso di disoccupazione non arriva all’11%. Effettivamente non è che siano messi molto meglio di noi. Basta con i numeri che sono noiosi e veniamo alla realtà della strada. Come dicevo mi sono guardata intorno: prendiamo una via di Parigi, non esageratamente centrale, ma neanche periferica, diciamo nel Marais, quartiere antico rimasto molto autentico e abitato dai parigini; prendiamo una via di Milano, capitale morale del Belpaese, con le stesse caratteristiche. Proviamoci: media dei negozi aperti? vince Parigi 9 a 5 almeno, appartamenti sfitti o in vendita? vince Milano 8 a 2. Tipologia dei negozi? A Milano trovi sopratutto supermercati, moda, tecnologia, a Parigi mercati (tantissimi, quelli rionali coperti), ristoranti ad ogni angolo, enoteche, pasticcerie e forni, non che manchino naturalmente le vie dello shopping più sfrenato e lussuoso, ma se voglio fare la spesa dall’ortolano sotto casa, di scelta ce n’è.

Rue Paris

Oddio ma stiamo facendo il solito discorso sulle botteghe che non ci sono più. Eggià! Ma vorremmo sopratutto fare il discorso a priori, perché queste povere botteghe non ci sono più?

Mi è così venuta in mente la risposta di Colombo nell’intervista sopracitata: “Si fanno le cose semplicemente per estetica, per velleità, per definirci socialmente, non per farle veramente. Faccio l’avvocato o faccio il giornalista, non perché mi interessa fare l’avvocato o fare il giornalista, ma perché mi piace l’estetica dell’avvocato o del giornalista. Nello stesso modo, i lavori che mancavano completamente di appeal come il barbiere o il ciclista sono stati rispolverati esteticamente e ora sono quasi diventati di moda, mentre su altri, come il macellaio o l’operaio, forse ci arriveremo”. Ecco in Francia ci sono già arrivati. Ad una prima occhiata, in Francia il rispetto è per il lavoro, non per il tipo di lavoro.

Che poi, voglio dire, è stato come scoprire l’acqua calda: la Francia è il primo produttore agricolo d’Europa – l’Italia segue a ruota -, i loro prodotti enogastronomici sono riconosciuti come eccellenze in tutto il mondo, decantati e desiderati, così come la ristorazione, i lavori artigianali, la sartoria, la lavorazione del cuoio o delle pelli sono alla base di un’enorme industria che è quella della moda, e ancora la cultura, le arti in generale, perché continuare quindi a insistere su un saturo terziario?

Poi bisognerebbe, per essere precisi, aprire un capitolo sugli aiuti statali dati ai commercianti e alle nuove imprese, sul sistema fiscale francese, e in generale sulla maggiore facilità imprenditoriale d’Oltralpe, ma sarebbe come colpire a morte l’Italia, ancora ignara di tutte queste belle possibilità.

In sostanza se volessimo aggiornare la sempre verde canzone di Paolo Pietrangeli, “Contessa”, che recita “anche l’operaio vuole il figlio dottore”, passato il ’68, gli anni di piombo, i ruggenti anni ’90 e la crisi del 2008, potremmo, a) invertire gli addendi, b)consigliare all’operaio di insegnare al figlio un mestiere, di farlo studiare anche, per permettergli in sostanza di scegliere la sua strada.

Ah, dicevo che sono andata a Parigi per lavoro, si dovevo intervistare un mâitre chocolatier, uno che fa cioccolatini in poche parole, che rimanendo e anzi insistendo sull’essere un artigiano, oggi ha creato un impero tra Francia e Oriente con un fatturato di 13 miliardi di euro, e no, i suoi cioccolatini non costano uno stipendio. Fate voi!

Lettura consigliata: Chris Anderson, Makers il ritorno dei produttori. Per una nuova rivoluzione industriale, Rizzoli Lab 2013