fante o spender? La notizia corre su Twitter: si tratta di politica, di economia internazionale, di job act o sentenze inquietanti? Niente di tutto ciò! Twitter la scorsa settimana è stato il canale privilegiato di un evento editoriale davvero interessante. Editoriale, si avete capito bene, parliamo di contenuti e parliamo anche di marketing. Dai, lavete già capito tutti, loggetto di questo post è il, come già lo chiamano universalmente, caso Fante, la pubblicazione della casa editrice Einaudi delle lettere dello scrittore americano John Fante con la copertina sbagliata. Nel senso che in copertina invece di metterci una foto del nostro ci hanno piazzato uno scatto del seppur affascinate poeta e critico inglese Stephen Spender. Sono certa di non raccontarvi nulla di nuovo visto che levento, oltre che interessare i cinguettii di molti lettori e passato velocemente sulle pagine di quotidiani di informazione e di blog molto più titolati della sottoscritta, oltre a diventare oggetto di prese in giro e emulazioni.

Ciò che mi interessava fare, è capire da dentro come si è svolta la vicenda, che è arrivata a determinare l#epicfail.
Partiamo da una premessa necessaria: nessuno mi venga a dire che si è trattato di unoperazione di marketing. Non ci crederò mai e poi mai: qualora anche il marketing della casa editrice torinese avesse ideato tale mossa, il direttore editoriale, Ernesto Franco – che tra le altre cose ha curato e tradotto opere di Jorge Luis Borges, Mario Vargas Llosa, Julio Cortazar, Alvaro Mutis e Octavio Paz – sono certa, si sarebbe opposto. Va bene il marketing, ma non esageriamo! Quindi a tutti gli effetti si è trattato di uno sbaglio, cosa che per altro è capitata a molte aziende, pensiamo alle case automobilistiche che ritirano intere serie delle loro autovetture perché difettate o aziende alimentari che ritirano prodotti perché contaminati. È evidente che il fatto sia grave, e di certo non aumenta la brand reputation dellazienda ma può, come in questo caso, mettere a prova la capacità di reazione del marketing e quindi riposizionare lazienda che anche in casi complessi dimostra di saper difendere il proprio brand. Il caso Fanteper Einaudi è senza dubbio un caso di successo – come non si può dire per i recenti scandalidi Moncler o del Gruppo Cremonini – e i Social, in particolare Twitter hanno giocato un ruolo determinate. Ecco quindi cinque possibili regole, desunte da questa case hisory, che potrebbero aiutare le aziende in caso di errore:

  • In realtà questo è il punto zero, ma concedetemelo: NON FIDARSI DELLE RICERCHE SUL WEB. Internet è un mostro a due teste, ci ha semplificato sì la vita, ma ci costringe a delle attenzioni in più, quindi, controllare SEMPRE che immagini e contenuti siano corretti. Così Spender non sarebbe passato per Fante, visto che proprio il web è lautore a monte di questo errore.
  • Ammettere il fatto. Einaudi con un tweet ha immediatamente segnalato e ammesso lo sbaglio, dichiarando anche che avrebbe rimediato in ristampa.
  • Essere trasparenti. Spiegare levento senza aver paura del giudizio degli utenti ma accogliendo critiche e difese. Rispondere sempre, ma proprio sempre, ai messaggi sui Social, puntando magari sull’ironia.
  • Sfruttare l’errore a proprio vantaggio. Forse Einaudi ha un filo esagerato, ma grazie al supporto degli utenti, ha trasformato un errore in un caso letterario: la forza del brand Einaudi ha portato i suoi utenti a considerare il libro, pubblicato in poche migliaia di copie, un oggetto da collezione, imperdibile, quasi un Gronchi Rosa. È già esaurito ovunque.

 

  • Capitalizzare. Raccogliere come patrimonio tutti i contatti generati dall’#epicfail per farli diventare prospect nelle future campagne per nuovi prodotti.

E infine solo a appannaggio della sottoscritta, e di alcune carissime amiche che condividono con lei la passione per lo scrittore italoamericano, finalmente si è parlato di John Fante per più di cinque minuti. Mi auguro che questo #epicfail oltre che rafforzare il brand di Einaudi, moltiplichi i lettori di Fante. Perché? Perché uno che scrisse: “Arturo Bandini era praticamente certo che non sarebbe andato all’inferno quando sarebbe morto. Per andare all’inferno avrebbe dovuto commettere peccati mortali. In realtà ne aveva commessi molti, ma la confessione lo aveva salvato. Si era sempre confessato in tempo, cioè prima di morire. Ogni volta che ci pensava toccava ferro: avrebbe sempre fatto in tempo a confessarsi, prima di morire. Ecco perché Arturo era praticamente certo di non andare all’inferno quando fosse morto. Per due motivi: per la confessione e perché era velocissimo”, merita di essere letto, e riletto e riletto e riletto e riletto….