«Governi del Mondo Industriale, stanchi giganti di carne e acciaio, io vengo dal Cyberspazio, la nuova dimora della mente. In nome del futuro, invito voi, che venite dal passato, a lasciarci in pace. Non siete benvenuti tra noi. Non avete sovranità sui luoghi dove ci incontriamo».

Con queste parole John Perry Barlow, nel 1996, apriva la sua Dichiarazione d’Indipendenza del Cyberspazio, che a quasi vent’anni dalla sua pubblicazione sembra essere più attuale che mai.

Quello della rete è uno spazio che si definisce ogni giorno di più come un luogo pubblico, anche se virtuale, nel quale si svolgono parte delle nostre relazioni sociali, del nostro lavoro, dei nostri svaghi, uno spazio in cui esprimiamo la nostra personale, irripetibile individualità. In altre parole, un luogo che abitiamo.

internet bill

Si giunge così oggi a pensare ad un sistema per regolare questo spazio così diverso dai tradizionali oggetti del diritto – come del resto, un tempo è stato per il mare – non con un sistema di regole costrittive, piuttosto di garanzie per i diritti della rete. Ma la questione non è semplice.

I governi cercano continuamente di portare nei limiti delle loro competenze Internet e la sua libertà, ma non è solo da questi che bisogna guardarsi, ci sono i nuovi signori dell’informazione – si chiamino Google, Apple, Amazon, Microsoft, Facebook – che attraverso le enormi raccolte di dati, governano le nostre vite.

A lungo la rete è stata affidata alle logiche del mercato – con un conseguente abbandono di attenzione verso la protezione dei dati personali – ora si tenta un modo per correggere l’autoreferenzialità delle grandi piattaforme multinazionali che erano abituate a farsi da sole le regole e a trasformare le persone in meri fornitori di dati.

«Possiamo dire che comincia a prendere forma una costituzione per la Rete, un vero Internet Bill of Rights? Alcuni fatti recentissimi giustificano questa domanda. In aprile e maggio la Corte di Giustizia dell’Unione europea ha pronunciato due importanti sentenze in materia di diritto alla privacy: una ha dichiarato illegittima una direttiva europea che, per motivi di sicurezza, prevedeva modalità sproporzionate di raccolta e conservazione dei dati personali; l’altra, su richiesta di un cittadino spagnolo, ha imposto a Google di eliminare il link che rendeva liberamente accessibili alcuni dati riguardanti un suo debito non pagato». [S. Rodotà]

In seguito al lavoro di Julian Assange e, soprattutto, alle rivelazioni di Edward Snowden sulla NSA (National Security Agency), ci si è resi conto come i dati personali vengano trattati come una proprietà da parte di quei gestori a cui noi li concediamo. Chi sosteneva di vivere nell’era della morte della privacy e che questa era ormai socialmente accettata, si è dovuto ricredere.

L’interesse economico di Google, Facebook, non può prevalere su un diritto fondamentale, per questo è stato stabilito dalla Corte europea che queste organizzazioni, se presenti sul territorio europeo, sono responsabili del trattamento dei dati personali. In questo modo l’idea di un mondo globale senza regole e soggetto solo al potere incontrollato dei soggetti economici viene concretamente rigettata.

Internet deve restare uno spazio libero dal rischio di essere controllato dalle grandi società, uno spazio dove possano prosperare la libertà di comunicazione e l’innovazione.

Tuttavia, questo non può essere limitato solo all’Europa – Google non potrà rifiutare ad un cittadino non europeo i diritti che ora garantisce agli europei. Questo è il senso dell’Internet Bill of Rights. Che ha conseguenze anche sulle scelte delle piattaforme, con la reazione costruttiva di Google (sul diritto all’oblio), il nuovo atteggiamento di Facebook (su una più forte tutela delle informazioni personali) e la comunicazione spontanea di Vodafone sulle intercettazioni.

«Qualcuno teme che, muovendo da queste premesse, si possa giungere a un Web 3.0 dominato dal potere dell’interessato di controllare i dati che lo riguardano. Questo è un modo per travisare la questione. A quel Web 3.0 si dovrà guardare come ad uno spazio costituzionalizzato, dove gli Over the Top o altri padroni del mondo non possano considerarsi liberi da ogni regola o controllo». [S.Rodotà]

Rodotà ha ricordato, durante una discussione alla Camera, i principi costituzionali di internet:

  1. Accesso a internet come diritto universale
  2. Statuto della conoscenza in rete
  3. Uguaglianza e non discriminazione
  4. Net neutrality
  5. Sottoporre soggetti globali alle regole locali
  6. Rapporto mercato diritti fondamentali per bilanciamento
  7. Equilibrio tra trasparenza e protezione dati personali

Naturalmente un Internet Bill of Rights non poteva che prevedere una partecipazione libera alla sua stesura, a questo link è possibile votare o presentare delle proposte per una Carta dei diritti digitali.