La nostra vita è condizionata, o costruita se volete, dal genere sessuale, dalla razza, dalla cultura, ma anche da tratti della personalità-carattere che ci contraddistinguono fin da piccoli. Un aspetto della personalità “dimenticata” è lo spettro “introverso-estroverso”.
L’introversione oggi è una parola terribile perché ricorda timidezza, serietà, sensibilità eccessiva e, probabilmente, non è sinonimo di successo. Conviviamo infatti in un sistema di valori che Susan Cain nel suo bel libro “Quiet. Il potere degli introversi in un mondo che non sa smettere di parlare”, chiama
L’ “Ideale dell’estroversione” ossia la convizione che l’Io ideale sia espansivo, dominante, a proprio agio sotto i riflettori.
Invece la polarità estroverso-introverso è una caratterizzazione comune dell’individuo con caratteristiche abbastanza evidenti.
“Gli introversi sono attratti dal mondo interiore del pensiero e del sentimento, dice Jung, gli estroversi dal mondo esterno delle persone e del fare. Gli introversi ricaricano le batterie stando da soli, gli estroversi devono socializzare”
La ricerca psicologica su questo campo è ancora un studio molto complesso, ma afferma per esempio che introversi e estroversi si differenziano per il livello di stimoli di cui hanno bisogno. I primi sono a proprio agio con stimoli ridotti amplificandoli attraverso il proprio mondo interiore; ai secondi piacciono le emozioni forti, per esempio conoscere persone nuove o vivere esperienze nuove.
È una generalizzazione e in mezzo, come sempre, ci stanno mille sfumature, ma gli archetipi servono a delimitare i confini.
L’autrice nel libro parla di “un’ascesa del “simpaticone”. Agli inizi del ‘900 l’ideale dell’estroversione corrispondeva perfettamente a un certo tipo di uomo necessario in quel momento. L’America passa in quegli anni da una cultura del carattere a una della personalità. Bisogna essere persone affascinanti ed esuberanti perché queste hanno successo. C’era un gran bisogno di “venditori”.
L’ideale dell’estroversione, alla lunga, ha indubbiamente vinto, ma senza gli estroversi non avremmo:
- La legge di gravitazione universale
- La teoria della relatività
- I Notturni di Chopin
- 1984 e La fattoria degli animali
- E.T.
- Harry Potter
La domanda che molti si pongono oggi è se l’estroversione o l’iper-estroversione (come ormai viene definita dagli psicologi) sia identificabile con una leadership carismatica.
Il libro della Cain è ricco di esempi di come l’introversione possa essere una ricchezza. Prima di tutto per l’individuo perché oggi esiste una patologia psicologica che rimanda al dover essere estroversi, invece riconoscersi per quello che si è può scatenare enormi energie nascoste dietro la maschera del finto estroverso.
In seconda battuta per l’azienda che permetta ai propri dipendenti di essere ciò che sono senza la dannazione dell’open space, del lavoriamo in team perché lavorare in gruppo è bello. Ancora la Cain ci porta una serie di casi in cui le aziende hanno abbandonato il diktat del lavoro di gruppo ottenendone un gran beneficio.
Capisco che per questione di spazio ho dovuto semplificare molto il discorso e forse sarà necessario un altro post sul tema, ma se qualcuno si è incuriosito legga il “Manifesto degli introversi” alla fine del libro.
Di seguito vi riporto il punto 9 secondo me chiarificatore:
“Ognuno può brillare, sotto la giusta luce. Per alcuni è un riflettore di Brodway, per altri è una lampada da tavolo”
Dopo aver letto queste poche righe chiedetevi, non tanto come siete voi, ma se avete mai “costretto” qualcuno ad essere diverso da quello che è…