GoogleplusIl 24 aprile 2014 l’addio di Vic Gundotra ha scatenato una marea di analisi e supposizioni sullo stato di salute di Google+. Da lì ha cominciato a diffondersi una voce sempre più insistente che dava per scontata la chiusura di Google+. Invece, approfondendo la questione, si è scoperto che le cose non erano così ben definite come in un primo momento era sembrato.

Vic Gundotra, Senior Vice President Social di Google, lascia l’azienda in cui ha lavorato negli ultimi otto anni accomiatandosi con un post su Google+, il “braccio social” dell’azienda di Mountain View che egli stesso ha contribuito a creare. Un abbandono così importante (Gundotra in precedenza aveva lavorato quindici anni in Microsoft) ha dato il la a commenti e ipotesi di ogni tipo, ma quello che più ha fatto scalpore è stato un post di Techcrunch.

Il post, che nel giro di poche ore ha fatto il giro del mondo, si dimostra ben informato (da parte di una fonte interna all’azienda) sui vari trasferimenti dei membri dello staff che ha lavorato a Google+, spostati in nuovi progetti di sviluppo, e afferma senza mezzi termini che l’abbandono di Gundotra è solo uno dei passaggi che porteranno alla chiusura del “fallimentare” Google+.  A detta di Techcrunch lo strumento sarà convertito in una piattaforma e perderà quindi i connotati tipici dei social network. Ovviamente Mountain View  ha negato queste illazioni rispondendo che Google+ gode di ottima salute:  quel che accadrà nei prossimi mesi dimostrerà da che parte sta la ragione, se davvero sarà chiuso o se continuerà la sua strada.

In realtà, anche se non è né morto né condannato a morte, la situazione di Google+ è piuttosto controversa.  Lanciato nel giugno del 2011 come l’anti-Facebook, nonostante i 450 milioni di utenti dichiarati e le numerose integrazioni con tutte le applicazioni web di Big G, a quasi tre anni dal lancio ancora Google+ perde il confronto con la creatura di Zuckerberg. Moltissime aziende, brand, organizzazioni, personalità di tutto il mondo hanno un pagina Facebook per incontrare ed interagire con i propri pubblici di riferimento, molti meno sono quelli che lo fanno anche su una pagina di Google+.

Probabilmente il fattore tempo ha fatto pendere l’ago della bilancia a sfavore di Google+, che è arrivato sulla piazza troppo tardi. Anche se al suo interno contiene applicazioni particolarmente interessanti e utilizzate, spesso gli utenti sfruttano deliberatamente solo quelle funzionalità (Hangout su tutte), tralasciando completamente di utilizzarlo come strumento di condivisione all’interno delle proprie reti sociali. Spesso chi lo usa ha la tendenza a pubblicare gli stessi contenuti condivisi nelle altre piattaforme sociali.

Nonostante l’integrazione con altri strumenti targati Big G (da Gmail a YouTube) le vere reti sociali degli utenti si sono già create su altri social e non sono più trasferibili, una volta che si sono consolidate in altri luoghi del web. A detta di alcuni poi, c’è un fattore riguardante la mentalità aziendale che probabilmente gioca a sfavore. All’interno di Google si tende a dare maggiore importanza agli aspetti tecnici, creando strumenti altamente performanti, dando per scontato che le caratteristiche tecniche del prodotto siano sufficienti a raggiungere un alto numero di utilizzatori, così come successo anche con il servizio Gmail. Così facendo però ci si dimentica di puntare sul fattore emozionale, che al contrario è altamente sfruttato da Facebook.

L’immagine che Google+ fornisce di se stessa al momento non è sicuramente quella che voleva ottenere al momento del lancio. I suoi utenti possono essere numeri interessanti, ma non sono utenti, per così dire, esclusivi: spesso l’utente G+ è allo stesso tempo un utente degli altri social, che condivide le foto del tempo libero e i commenti sulla sua giornata per guadagnare i like degli amici (che sono tutti  su Facebook) e poi utilizza gli hangout e segue le celebrity preferite su Twitter.

Per questo continuare a misurare il successo di Google+ utilizzando il metro di Facebook è fuorviante. Emerge sempre più chiaramente che G+ è più un social layer (come ci spiagava Alberto Buora in questo post del 12 febbraio) , per far convergere in un unico punto tutti prodotti Big G che mettono in comunicazione gli utenti web, da Gmail a Maps, da Drive a YouTube, che non un semplice social network. La mole di dati degli utenti a cui Google ha accesso va oltre quanto condiviso e apprezzato sui social: e sull’uso e la profilazione di questi dati si misurerà, probabilmente, la vera battaglia tra i grandi players della comunicazione dei prossimi anni.