Non è vero che “dal 2008 è cambiato tutto”: cambia sempre tutto, costantemente, ogni secondo. Viviamo ingabbiati in certezze e schemi mentali che ci rassicurano (per poi farci spesso andar fuori di testa, quando non funzionano più), e dimentichiamo che l’unica vera certezza della Vita è il cambiamento, interiore ed esteriore, personale e sociale.

E’ certamente aumentato il ritmo, la frequenza delle ondate di innovazione e distruzione creatrice, come il buon Schumpeter spiegava qualche decennio fa. Quello che funzionava per 50 anni, oggi è vecchio e sorpassato in 5. Questo ci può piacere o meno, ma per evitare dietrologie e i mortiferi “si stava meglio quando si stava peggio”, conviene guardare avanti e se serve fare una sana autocritica, personale e professionale.

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In un mondo senza prospettive di crescita automatica, costante e lineare, cosa conviene imparare e disimparare per non subire ma cavalcare il cambiamento?

Ecco 3 delle nuove “competenze” che ritengo particolarmente urgenti e necessarie:

  1. Imparare a sbagliare poco ma il più rapidamente possibile, senza aspettare che sia tutto perfetto… perché semplicemente non lo sarà mai;
  2. Se il vecchio problema era la ricerca di informazioni, oggi la nuova sfida è filtrare le tante fonti e visioni del mondo che convivono intorno a noi. Ridurre il rumore di fondo per ascoltare i segnali deboli, esteriori ma soprattutto interiori, per tenere solo quelli veramente importanti;
  3. Vedere e tenere il buono da ogni persona e situazione, anche quando sembra che non ci sia proprio nulla da salvare. Altrimenti la cappa tossica del pessimismo, prodotto tipico nazionale, non fa che bloccarci ulteriormente nella ricerca di soluzioni “good enough”, che funzionino nel qui e ora e non in teoria, come quelle dei libri su cui abbiamo studiato.

Con questi punti in mente, ho letto di recente Impresa Impossibile di Corrado Formigli, per scoprire 10 storie di aziende medio-piccole che hanno scelto di nascere o di restare in Italia. Imprenditori con una visione globale ma le radici ben piantate nella penisola. Al netto del romanticismo narrativo, questi sono alcuni dei veri modelli positivi di comportamento professionale e sociale. Modelli troppo poco raccontati e diffusi, dove l’elettricista di paese, senza sito e pagina nei social, può essere più etico e socialmente responsabile della big company italiana che fa gli spot con Roberto Bolle, per citarne una. Persone che hanno fatto e continuano a fare tutto da sole perché lo Stato quando entra nel business, il più delle volte distrugge ricchezza e valore. Persone sicuramente egocentriche, difficili, ma che non sono pedine di un sistema che pesa sulle spalle di tutti noi anche in tempi di spending review e salvataggi di banche senesi, per dirne un’altra. Persone talvolta giustamente incazzate, ma che invece di prendere in mano i forconi innovano e vendono ancora di più: perché forse, invece che lamentarsi, loro si sfogano competendo sul mercato, viaggiando controvento.

Il mondo cambia: servono nuovi modelli

E invece ci hanno abituato a credere a mode passeggere, fatte di parole chiave che rimbalzano ai convegni – spesso finanziati con soldi pubblici – parole che riempiono la bocca a consulenti e guru dai quali è facile restare sedotti. Perché da troppo tempo ci viene venduta la facilità, il personaggio, il successo facile dove creando un’App sei imprenditore, dove se non fai la tua startup non sei figo abbastanza.

Il successo facile è diventato prodotto di consumo, la moda per non essere “ordinari”; il sacrificio, la responsabilità e il duro lavoro di “gavetta” potrebbero diventare il nuovo modello proprio in questa fase di oggettiva difficoltà.  E voi seguite le mode del momento o cercate modelli positivi?