A gennaio, il blog “La 27maOra” del corriere.it pubblicava un articolo molto interessante sulla difficoltà delle donne a lavorare con altre donne. Inutile dirvi che mi ha fatto molto riflettere e ha aperto un dibattito che avevo già avviato anni fa. Meglio lavorare con uomini o con donne ci chiede il post di Maria Luisa Agnese sul finale. Domanda difficile, alla quale sappiamo che la grande maggioranza delle persone risponde che preferisce lavorare con un uomo e avere un capo uomo. Risposta condivisa naturalmente anche dalle donne.
Il dibattito è molto aperto, proprio in queste ore si sta combattendo in parlamento per le quote rosa nella nuova legge elettorale, così come in precedenza se ne è parlato per la legge 120/2011 sulla presenza delle donne nei consigli di amministrazione delle società quotate e sul riequilibrio di genere (Legge 215/2012) nei consigli e nelle giunte degli enti locali e nei consigli regionali.
Il disequilibrio ancora attuale nelle posizioni di comando così come tra i quadri, sia in piccole-medie sia in grandi aziende, rende il lavoro femminile instabile ed estremamente competitivo. Gelosie, invidie, rivalità sembrano dilatarsi nell’unità di genere, impedendo una fattiva solidarietà che consentirebbe maggiori e migliori risultati nel lavoro di tutte.
Così sono partita alla ricerca di testimonianze, che non hanno tardato ad arrivare: palleggio di responsabilità, accuse indirette di scarsa professionalità o di maneggi, carriere contestate, battibecchi, frasi denigratorie sempre dette alle spalle, manovre di isolamento di chi dimostra più forte personalità o di chi sembra più apprezzata, mail collettive da cui vengono escluse le figure femminili di riferimento. E queste solo per citarne alcune. Pare che la tanto decantata solidarietà femminile e le alleanze in campo lavorativo siano quasi impossibili.
Proviamo a rivolgere la stessa domanda agli uomini. No, ne pensiate che siano esenti da invidie o colpi bassi, ma il tutto avviene in modo più diretto, più frontale. E le alleanze ci sono e come se si fanno notare. E come funzionano anche. Questo perché? Forse perché la consuetudine a gestire il potere li ha resi consapevoli dell’importanza dell’agire di concerto per raggiungere un obiettivo. Non è questione di lealtà o di maggiore virtù, è un automatismo che fa sì che nella nostra società, in campo politico, economico e culturale, premi l’egemonia maschile.
Se la ragione del comportamento maschile è così spiegabile, molto più oscura rimane quella dell’atteggiamento delle donne. Azzardo un’interpretazione: le donne non hanno ancora capito come si fa ad avere successo essendo solidali, la secolare posizione di subalternità, anche culturale, non ci ha ancora consentito di sviluppare le alleanze di genere per raggiungere i nostri obiettivi. E purtroppo ricorriamo ancora troppo facilmente ai comportamenti cosiddetti uterini. Mie care donne, anziché compiacerci che ci siano otto donne ministro, pensiamo alla realtà più vicina a noi, nelle aziende, nei nostri rapporti di lavoro quotidiani, tra colleghi e collaboratori. Cerchiamo finalmente di superare le piccole e banali competizioni per perseguire uno scopo comune, lavorare meglio e progressivamente ridurre tutte insieme l’handicap di essere donne. Che già ci pensano gli uomini a imporcelo.
Concedetemi una conclusione: il vero ideale sarebbe che ciascuno di noi venisse valutato per le sue reali competenze e avesse le stesse opportunità in quanto individuo, e non perché uomo o perché donna. Amen!