Interno milanese, lunedì pomeriggio, fuori piove. Venti persone si riuniscono per trattare un tema cruciale per il lavoro nell’immediato futuro: lo smart working. Io assisto, ascolto e riporto qui i punti salienti. Il lavoro, lo sappiamo bene, è tra i più importanti temi su cui intervenire immediatamente, sia dal punto di vista legislativo sia sociale. Naturalmente siamo in ritardo rispetto al resto dell’Europa, dove da più di 10 anni lo smart working è una realtà. Ma di cosa si tratta? Un modello di lavoro con orari e sedi più flessibili, basato sull’utilizzo di tecnologie integrate e su policy aziendali che puntino a creare relazioni tra colleghi interni ed esterni.
La prima domanda che viene messa in campo è: perché si punta così tanto sullo smart working? perché è così decisivo per alcune aziende?
La domanda non trova un’immediata risposta da parte della platea. Si ricorre ad una case history. In collegamento Skype, interviene una manager della Provincia autonoma di Trento che racconta il progetto TelePAT, già attivo dal 2011. Ad oggi, la Provincia ha 200 dipendenti con postazione domiciliare, un progetto sperimentale che ha coinvolto il settore amministrativo ed informatico con l’obiettivo conciliare maggiormente i tempi di vita e di lavoro nell’ottica di una maggiore flessibilità e qualità produttiva, dare la possibilità di un lavoro pubblico anche a chi abita lontano dalla sede provinciale e razionalizzare e qualificare i costi del personale.
I vantaggi dopo due anni? Presto detti: risparmio economico per l’azienda nella gestione del personale e delle strutture, investimenti in tecnologie ammortizzati al 50% già il primo anno, maggior tutela per il lavoratore anche in ottica pensionistica, e, addirittura, vantaggio ambientale con una riduzione dell’inquinamento dovuta ai minori spostamenti. Uguale: una migliore qualità della vita per i lavoratori e un vantaggio per la collettività.
La Provincia di Trento inquadra questa sperimentazione sotto la denominazione di telelavoro, ma più precisamente bisognerebbe parlare di home working o di smart working. È smart il lavoratore, ma deve esserlo, per prima, l’azienda. Questo tipo di strumento giuslavoristico presuppone infatti che il lavoratore sia valutato e gestito per obiettivi, non per numero di ore lavorate, l’azienda deve affidarsi alla sua correttezza, deve dare fiducia! Arriva un consiglio dai presenti, la lettura di “The Speed of Trust” di Stephen R. Covey, giusto per capire, offertaci dal noto businessman, che la relazione di fiducia che si instaura tra azienda e dipendenti è un fattore critico di successo per un’organizzazione che vuole essere high-performing. Un’altra domanda fondamentale è, “come deve comportarsi l’azienda per affrontare questo cambiamento?”
Per ora lo smart working è solo in via sperimentale in Italia – è stato costituito anche un osservatorio – come strumento di gestione del personale, in molti però si chiedono se farlo diventare un tipo di contratto, in modo da normare tutti gli aspetti concernenti la contrattualistica. Già perché qualche aspetto da chiarire potrebbe esserci, abbiamo già parlato della fiducia, ma poi c’è anche:
- sicurezza del posto e degli strumenti di lavoro
- ambiti di responsabilità dell’azienda nei riguardi dei comportamenti del lavoratore
- inquadramento sindacale
- aspetti contributivi
- gestione delle ferie e dei permessi.
Indagini e ricerche di mercato confermano che lo smart working è molto apprezzato e ne viene richiesta una maggiore diffusione; ecco un’altra domanda, “se piace così tanto, le aziende si dovrebbero adeguare, ma come? e in particolare le PMI come possono affrontare con semplicità questa nuova condizione lavorativa?”. La risposta questa volta è unanime: copiare dai Best Practice! Semplificare la giungla contrattuale e introdurre questa tipologia.
Lo smart working interessa tipologie di lavoro che tradizionalmente si intendono sedentarie, da svolgere presso il luogo di lavoro, ma ciò rientra in una mitizzazione del presenzialismo tutta italiana, dove, come sempre, è più importante timbrare il cartellino, piuttosto che lavorare bene.
Pensate che sia impossibile da realizzare in Italia? Eccovi un altro esempio di successo: Tetrapak.
Azienda svizzera, di origine però svedese, con sede a Modena, oggi vanta un’organizzazione che consente ai dipendenti di svolgere il 40% del proprio lavoro in modalità telelavoro, ha abolito il classico “cartellino”, e ha fatto dei concetti di:
- libertà e responsabilità
- qualità e innovazione
- partnership e divertimento
- attenzione al cliente e lunga durata
la sua bandiera, definendosi un’azienda di grande ascolto e condivisione delle esigenze dei lavoratori.
L’obiettivo deve diventare la qualità della prestazione in termini di contenuti e di tempi di realizzazione; quindi anche la valutazione e le modalità di controllo devono diventare smart. I responsabili devono potersi dotare di strumenti tecnologici che consentano il controllo online dell’avanzamento del lavoro.
Il tema è aperto; come si diceva, si sente l’esigenza di saperne di più, si sente il bisogno di cambiare, anche nella normativa, è palpabile l’urgenza di innovazione e di svecchiamento del Paese. Così come arrivano notizie di critiche nei confronti del telelavoro, Yahoo lo scorso anno, per esempio, ha deciso di fare marcia indietro e di richiamare in ufficio i teledipendenti.
Qual è la vostra idea di smart working? Attiviamoci per cambiare. Think smart, think better….