C’è la crisi, signori.
Che novità, direte voi. È da almeno sei o sette anni che non si sente parlare d’altro. È successo che tutto si è fermato, tutti lavorano meno, tutti vendono meno. C’è una grande incertezza. E paura.
Da sette anni? Ma se sono passati sette anni non si può più parlare di crisi, ma un cambiamento in atto: la parola crisi è sbagliata e, arrivati a questo punto, in alcuni casi potrebbe essere un alibi.
La parola crisi viene dal greco Krisis, che significa scelta, decisione. La crisi quindi è un momento di difficoltà passeggero non duraturo, non così lungo. Nel momento della crisi, il soggetto ne prende atto e decide. Una direzione, una strategia, una pausa, anche di mollare se necessario. Ma se continuiamo a chiamarla crisi continueremo ad aspettare che finisca o che qualcuno o qualcosa la faccia finire per noi.
Io – che sono cresciuto negli anni ’80, fasulli e drogati ma molto semplici – mi rendo conto che il mondo oggi è un vero casino. Poi guardo mia figlia che in questa crisi c’è nata e per lei questo è il migliore dei mondi possibili. Che ironia la storia.
Ma è sempre stato così. E quando guarderemo “ai bei tempi antichi“, avremmo cominciato a ragionare come gli stessi vecchi che abbiamo criticato. Perché il nuovo è sempre incomprensibile.
Il nuovo è qualcosa che va anche costruito, pensato: alla fine dell’800 c’era una crisi e un cambiamento, ma la parte più importante di questo cambiamento non avvenne sulle barricate e nelle battaglie cittadine di mezza Europa (il ’48 vi ricordate?). Il cambiamento è avvenuto molto prima, nei Circoli e nei Caffè delle grandi capitali e dei piccoli centri di provincia!
Prima di imbracciare lo schioppo, combattere i vecchi signori e cambiare uno stato di cose inaccettabile; prima di parlare di democrazia era necessario costruire un terreno comune. Questo terreno comune è nato nei caffè dove un certo tipo di persone, che avevano tempo e “soldi” ma soprattutto tempo e necessità, potevano trovarsi e parlare di un futuro che non c’era ma che sentivano necessario.
Questo parlare, confrontarsi e litigare, in salette fumose, tra una partita a carte e la lettura dei giornali (novità importantissima per l’epoca) divenne quel movimento sotterraneo al quale alcuni storici imputano la nascita di certe idee liberali e democratiche che poi animeranno chi sulle barricate ci doveva andare.
C’è un bellissimo libro che si intitola “Il salotto, il circolo e il caffè” di Maurice Agulhon che spiega come la nascita di questi spazi di nuova socialità abbiano influito sulla nascita delle idee. Lo sappiamo, sono le idee che cambiano il mondo e costruiscono una certa visione di esso. E le parole sono molto più vicine alle idee di quanto immaginiate. Spesso lo dimentichiamo e pensiamo sempre di più al fare: fare qualcosa, farlo bene, fare, fare. A volte senza pensiero.
Cosa succede oggi?
Mi trovo molto spesso a discutere di come vorremmo il mondo e sempre più spesso in luoghi non istituzionali: sotto l’ombrellone, al bar, in situazioni extra (extraparlamentare si diceva una volta), e mi rendo conto che ci sono moltissime persone che si sono rese conto che la crisi non è come un raffreddore e, a parte alcune cosette necessarie, non esiste la medicina, ma è qualcosa che passa e distrugge. Per non farsi spazzare via, bisogna imparare e camminare, correre e soprattutto pensare in modo diverso. Ci sono moltissime persone coraggiose attorno a noi che invece di dire “Ah la crisi?” come nella bellissima canzone di Rodolfo De Angelis – che vi invito ad ascoltare! – si rimboccano le maniche, cambiano occhiali e cercano di vedere cosa c’è di nuovo.
Le chiacchiere sotto l’ombrellone possono sembrare parole di poco valore, ma sono carburante per il cervello e il cuore e molto spesso i cambiamenti e le idee nascono lì dove meno ce li aspettiamo.
Quindi, ci facciamo un caffè?