liner500Si è fatto un gran parlare ad agosto e anche nell’ormai finito mese di settembre degli interventi dei privati nella cosa pubblica.

Ora vi aspetterete una citazione della trita e ritrita questione Colosseo e invece vi sbagliate. Per quanto l’intervento di Mister Tod’s nel restauro dell’Anfiteatro Flavio sia da benedire tutti i giorni, non saprei cosa dire se non ringraziare l’interessato e fare i complimenti al suo ufficio stampa e a chi gli cura la comunicazione. Perché in Italia, come sempre, quando si fanno le cose non si perde occasione per utilizzarle a beneficio della propria immagine. La case history che invece qui vogliamo raccontare è quella del Teatro Valle: storico teatro romano – costruito nel 1727 e perciò il più antico teatro moderno di Roma – che tra le altre cose vide nel 1921 la prima rappresentazione di Sei personaggi in cerca d’autore di Luigi Pirandello. Ma non parliamo sempre del passato, questo luogo deve avere anche un futuro e questo il comune di Roma non l’ha capito, tanto è vero che a giugno 2011 ne stava decretando la chiusura. Tanto per farvi un paragone, è come se a Londra chiudessero il Globe. Ma a Londra non capiterebbe mai. Non perché i cittadini britannici siano migliori, qui è proprio questione di saper gestire il patrimonio, anche in una condizione di crisi. Se il comune di Roma avesse affrontato attivamente la crisi del Teatro Valle, per esempio lanciando una campagna di sostegno o proponendo la sponsorizzazione del teatro a imprenditori o aziende (anche estere), avrebbe potuto risolvere un problema e utilizzare questo intervento anche a beneficio della propria immagine. Invece la storia è andata diversamente: gli attori e i dipendenti del teatro alla notizia della probabile chiusura, lo occuparono, inizialmente come segno di protesta – e ricevettero anche un grande sostegno da tutta l’intelligentia italiana – quindi in via definitiva, sostenuti da migliaia di cittadini, hanno trasformato l’occupazione in una gestione collettiva permanente che consente oggi di mantenere aperto e vivo il teatro. In poche parole, hanno dato un futuro ad un luogo ricco di storia ma ancora in grado di ospitare sperimentazioni, cultura e contaminazioni. Hanno capito che il nostro passato non è solo passato ma terreno fertile da cui attingere, è il nostro “petrolio”. Il risultato per il Comune di Roma è stato un ritorno di immagine, ma molto negativo. Un esempio che possiamo allargare a tutto lo stato italiano. Vogliamo parlare di Pompei? Adesso arriveranno i ricercatori tedeschi della Technische Universität di Monaco di Baveria e dell’istituto Fraunhofer di Stoccarda che con 10 milioni di euro ne promettono la salvezza. Ci hanno dovuto pensare loro, perché da vent’anni a questa parte, tra governi che se ne sono fregati e ministri dei Beni Culturali, diciamo, distratti, ancora un po’ e di Pompei ci rimaneva solo il ricordo. Eppure anche così sinistrato il sito incassa dalla vendita dei biglietti circa 20 mln di euro all’anno. E in più di Pompei parlano tutti, ma ancora una volta in modo negativo: si parla dei crolli, dell’eccessivo numero di dipendenti, della mala gestione, dei mancati o errati interventi di manutenzione. Non si parla mai di Pompei! Del gioiello che è, della risorsa che potrebbe essere. Bravo Stato, vai per favore a chiedere a Della Valle se oltre ai soldi per i restauri del Colosseo, ti presta anche il suo responsabile della comunicazione, forse potresti guadagnarci. Perché è tutto lì il problema: quelle che arrivano a noi sono sempre notizie negative, tutto improntato al “non funziona niente” – che è vero bisogna ammetterlo – ma la comunicazione dello Stato dovrebbe forse essere promotrice di interventi positivi in sé e utili per suggerire ai cittadini l’immagine di uno stato più attuale e fattivo.

Magari anche pronto a sollecitare e a guidare l’intervento dei privati cittadini a sostegno di progetti culturali e di salvaguardia dei beni comuni.

Magari certo, ma anche questo è chiedere troppo, lo Stato latita, in tutto, e non fa eccezione la comunicazione: il massimo che siamo riusciti ad ottenere è il paragone con il successo nel recupero di una nave affondata – e non soffermiamoci sul come è affondata e sul costo di tale intervento – ma non dimentichiamoci che la suddetta nave è destinata alla demolizione!

In conclusione un piccolo suggerimento per le aziende: non seguite il macroesempio negativo dello Stato, agite nel vostro micro e sul vostro territorio. In una fase in cui la comunicazione di tipo push costa sempre di più a fronte di una minore efficacia, le aziende devono imparare a vedere nell’ambiente e nei beni culturali delle opportunità di comunicazione capaci di attivare cittadini e opinione pubblica.