Quarta nuova autrice ospite del Blog per il mese di Agosto è Patrizia De Faveri che ci parla di fiducia.
“La fiducia è una cosa seria… e si dà alle cose serie”
Chi di noi ha superato gli anta si ricorderà questo famoso slogan – allora si chiamavano così – di una nota azienda del settore caseario, così come “Galbani vuol dire fiducia”.
La fiducia era davvero una questione seria poiché l’azienda registrò notevoli successi in termini di vendite a seguito di tali campagne, che avevano centrato un valore considerato cruciale per gli italiani di allora.
E oggi, in un’epoca dominata da sentimenti di incertezza e paura, come siamo messi in fatto di fiducia?
Chi non conosce un’azienda, agenzia o studio il cui nome contenga il termine Fides oppure il cui prefisso inizi per Fide… A quanto pare ancora oggi prendiamo maledettamente sul serio la questione o perlomeno cerchiamo di darlo a vedere. A livello istituzionale poi sembra un termine assolutamente diffuso: voto di fiducia, il governo incassa la fiducia, fiducia nelle istituzioni…
Ma che cos’è e quanto conta nei nostri rapporti privati e pubblici? Quanta ne esigiamo, quanta ne concediamo e quanta ne abbiamo in noi stessi, nel nostro operato, nel nostro futuro…
A quanto pare è davvero una faccenda seria, ma cerchiamo di andare per ordine. Un argomento tanto vasto che potremo solo sfiorare con spunti di riflessione e suggerimenti per approfondimenti.
Il termine trae origine dal latino fiducia, che a sua volta deriva dal verbo fidĕre «fidare, confidare» (Treccani).
“Atteggiamento, verso altri o verso se stessi, che risulta da una valutazione positiva di fatti, circostanze, relazioni, per cui si confida nelle altrui o proprie possibilità, e che generalmente produce un sentimento di sicurezza e tranquillità”.
La fiducia in sé viene da lontano e si costruisce nella nostra infanzia, grazie ad un clima familiare pieno di ottimismo e di affetto. Ci affacciamo a questo mondo dotati di un potenziale straordinario, costruendoci poco per volta quella prima fiducia che impareremo ad avere in noi stessi e nelle nostre risorse, consolidando quel sentimento di sicurezza e tranquillità cui si riferiva la Treccani.
Essere fiduciosi quindi non significa essere incoscienti ma consapevoli – ecco un altro termine su cui potremmo spendere un’infinità di parole – che possediamo delle carte da giocarci se non ci chiudiamo troppo dentro le emozioni ed esperienze negative che inevitabilmente troveremo lungo il nostro cammino. Nel libro La costruzione della felicità, Martin Seligman, famoso psicologo americano cita varie ricerche secondo cui le persone che provano emozioni positive hanno relazioni interpersonali e risultati professionali migliori della media.
Per potersi poi fidare, bisogna aver costituito una base solida in termini di fiducia in sé, nella propria capacità di “stare in piedi” da soli, ma al contempo aver compreso il valore e la necessità di un’interazione con l’altro, affidandosi e credendo nella propria capacità di valutare chi ci sta di fronte, pur non avendo certezze sul risultato.
Per capire l’importanza delle interazioni e dell’avere fiducia negli altri, è quasi più semplice parlare dei danni causati dalla mancanza di fiducia. Come ha spiegato bene Giorgio Nicastro, consulente direzionale nel suo articolo La Forza della Fiducia postato nel 2012
“A seguito dell’attentato alle Twin Towers nel 2011, la mancanza di fiducia instaurò dei meccanismi tali di controllo da paralizzare gli aeroporti, facendo crollare il numero dei voli con un danno tremendo per l’economia.”
Lo stesso si può dire di un’azienda dove l’imprenditore o manager non abbia costruito innanzitutto una propria credibilità attraverso l’esempio, dimostrandosi degno di fiducia, per poi delegare i propri collaboratori spingendo le persone, per dirla con Nicastro, a guadagnare e mantenere la propria. Lavorare con persone di cui ci si può fidare richiede molto meno energie da poter spendere nel proprio quotidiano che non applicare una politica di controllo negando la fiducia. Michela Marzano, filosofa e politica italiana, lo spiega nel suo bel libro Avere fiducia. Perché è necessario credere negli altri. Partendo dal pensiero filosofico di Rousseau passa ad Adam Smith che vedeva nell’amore di sé la chiave dello sviluppo economico: concedendosi fiducia, l’essere umano può ricominciare a prestare interesse all’altro e scoprire i vantaggi della cooperazione.
Nell’ambito lavorativo viene poi da chiedersi cos’è la fiducia per un imprenditore di oggi preso com’è dalle difficoltà quotidiane di far quadrare i conti, di portare a casa lavoro per sé ed i propri dipendenti, di gestire rapporti che possono essere generatori di conflitto come quello con i fornitori? Cos’è per il dipendente che ha perso il posto di lavoro di una vita e per il giovane che si affaccia da poco tempo sul mondo del lavoro?
E se per tutti la crisi fosse proprio quell’occasione in cui è necessario andare a rivedere quali sono i valori fondamentali nella nostra vita? I rapporti familiari e personali che stanno alle basi della fiducia che abbiamo o che dobbiamo ritrovare in noi stessi? Quelli che poi ci permetteranno di concedere fiducia a chi ci sta attorno, a cercare con ottimismo le opportunità per andare avanti.
Il libro che per antonomasia racconta ciò che si può raggiungere con la forza di volontà e la fiducia in se stessi è sicuramente Steve Jobs di Walter Isaacson, storia del genio, storia di un talento imprenditoriale che ha saputo sviluppare prodotti venduti in tutto il mondo, con eccellenti risultati in termini di fatturato ed utili.
Per sottolineare l’attualità del tema forse il tutto si può riassumere in un’altra campagna pubblicitaria, questa volta dei giorni nostri. La società assicuratrice Unipol che afferma
“Nessuno come noi – che assicuriamo da sempre il domani degli Italiani – sa che la voglia di un intero Paese di tornare a credere nel proprio futuro può diventare la più straordinaria e inesauribile fonte di energia per affrontare il presente e rimetterlo in marcia…”
e con un’altra frase emblematica, sempre della stessa campagna, ci dice che non abbiamo altra strada:
“Possiamo fare a meno di tutto, ma non del domani”.