Orsi Polari per coca colaChi non ricorda con piacere e un filo di tenerezza le pubblicità natalizie di Coca-Cola? Gli orsi polari che pattinano o i bambini di tutto il mondo che cantano in coro una Xmas Caroll. Qual è il segreto di tanto fascino? Apparentemente queste pubblicità non sottolineano il brand Coca-Cola, non incitano all’acquisto o al consumo del prodotto, e forse proprio per questo risultano così piacevoli agli occhi del consumatore seduto sul divano in pieno relax a guardare la televisione.


Questa banale osservazione ci permette di fare un quadro dello stato delle forme di pubblicità attuali e della loro efficacia: in generale si abusa di pubblicità promozionali e di vendita, con il risultato che il consumatore si difende cercando di evitare questo tipo di messaggi. È necessario quindi sorprenderlo con mezzi non convenzionali (come il guerrilla marketing) o con l’intrattenimento. Quest’ultima forma viene definita brand entertainment, o pubblicità ibrida, ed è molto usata oggigiorno.
Una tecnica di comunicazione apparentemente semplice, ma il difficile, come sempre, è metterla in pratica correttamente. Sembra accessibile perché al suo interno rientrano microcategorie di promozione del prodotto e del brand come:

  • Le Sponsorizzazioni: l’associazione di un brand a un contenuto pre-esistente, come ha fatto McDonald’s con le olimpiadi di Londra 2012
  • Le Telepromozioni: comunicazioni esplicitamente promozionali che entrano a far parte di un programma o telefilm. Il primo esempio che mi viene in mente è lo skatch di Gerry Scotti durante “Chi vuol essere milionario” per Top Tap di Nims.
  • I Publi-Redazionali: articoli di giornale realizzati da giornalisti che non promuovono esplicitamente il prodotto, ma lo consigliano all’interno di un articolo.
  • Il Product placement: un brand che entra in un contenuto editoriale per-esistente, la cui visibilità spesso è limitata.
  • Brand content: un brand produce un contenuto editoriale ex novo e implicitamente promozionale.

Proprio quest’ultimo, il brand content, è il più interessante e secondo gli esperti lo vedremo evolversi sempre più. Pensiamo, per esempio, all’azione messa in campo da Nespresso. Il marchio – di proprietà della svizzera Nestlé – di caffè industriale, leader nel mercato delle capsule, ha realizzato una rivista mensile – Nespresso Magazine – disponibile sia online sia su carta, che dedica ogni numero ad una importante città mondiale (con tutte annessi e connessi, quindi cucina, arte, cinema etc.) e, a fondo giornale, descrive le ultime novità del marchio, come le azioni in favore del sociale e dell’ambiente (progetto AAA sustainable quality).
Cosa ottiene Nespresso da questa sua attività di brand content?
L’azienda, semplicemente attraverso una rivista, intensifica la brand loyalty degli attuali clienti e pone le basi per quelli potenziali, sui quali esercita un’azione di brand awarness, dal momento che la rivista è acquistabile e leggibile anche da coloro che non consumano la marca o che non sono registrati al sito. Ad ogni modo tutti sono potenzialmente coinvolti dalla brand experience che ha realizzato l’azienda. Ecco quindi un esempio positivo di brand content, ma quali sono i passi necessari per arrivare realizzare un caso di successo?

Secondo Leonardo Bellini, consulente e autore di Fare Business con il Web, i punti focali sono 7:

  1. 1. Analizzare il target attuale e potenziale che a livello pratico vuol dire tenere costantemente monitorato quali sono gli articoli e contenuti che maggiormente interessano i lettori, quali percorsi effettuano all’interno del sito, da dove provengono, e quando leggono i nostri contenuti; seguire il loro comportamento sui social, cosa ci dicono e a che ora/giorno leggono maggiormente i nostri contenuti. Google Analytics, Facebook Insight e Twitter analytics sono i più usati. Per comprendere, invece, le possibili parole chiave che si possono inserire nei proprio contenuti è possibile usare Soovle.com e Merge Words.
  2. Definire contenuti e gli stili editoriali.
  3. Usare il SEO: pensare agli H1 e H2, capire quali sono le pagine più visitate dai clienti sul web con strumenti come Seomoz ToolOpensite Explorer Top Pages.
  4. Definire categorie e tag per classificare i contenuti.
  5. Definire quali contenuti pubblicare e a carico di chi. E’ sempre buona regola definire un’agenda di composizione, ma anche disinguere i contenuti primari (come gli articoli) da quelli esplosivi (come webbinar): i primi durano pochi giorni, i secondi anche anni.
  6. Mettere in pratica e deliverare i contenuti.
  7. Capire come raggiungere gli influencer e diffondere i contenuti. Attraverso gli strumenti al punto 1 si capisce quali sono gli utenti, per i leader si può usare Klout (social che determina la socialità di una persona).

Una volta progettato compiutamente il proprio brand content è fondamentale capire se funziona. In che modo? si usano 4 KPI:

  • qualità, ovvero il livello di engagement
  • volume delle pagine viste
  • valore: quante pagine mutano un visitatore in acquirente
  • costo di sviluppo dei contenuti a fronte del ROI

Ora che tutti i trucchi sono stati illustrati non resta che mettersi all’opera e cercare di cavalcare questa onda comunicativa che porterà a nuovi orizzonti, superando l’ostacolo della noia tipica della pubblicità tradizionale. Quale sarà la prossima azienda che ci stupirà?