Dopo qualche anno che leggo di comunità di consumatori è venuto il momento di azzardare una riflessione personale su di un argomento che, per motivi vari, è entrato a fa parte dei miei discorsi quotidiani e che poco c’entra con il lato “tecnico” delle community ma che provoca in me uno strano sfriccicolio.
Parliamo della “gestione delle risorse umane” nei rapporti comunitari. Tralascerei per un attimo quello che riguarda la gestione da parte delle aziende perché, oltre ad essere un argomento già trattato in post precedenti, si rischia di entrare in territori pericolosi ed impelagarsi in paludose analisi che coinvolgono leggi, contratti e sistemi premianti.
Tutto parte dalla definizione di sistema gerarchico in una comunità. Ad un analisi superficiale potrei affermare che non esiste una gerarchia più orizzontale di quella comunitaria. Stesso valore per ogni componente, stessi diritti, importanza dell’aggregazione piuttosto che del singolo e via dicendo.
Ma andiamo a cercare di comprendere veramente quelle che sono le dinamiche che, al di là della teoria, si potrebbero instaurare. Innanzitutto il vertice: se è vero che la base (che poi anche qui si potrebbe discutere) “nomina” i propri opinion leader va da sé che questi personaggi sono investiti di un “potere” dirompente da un punto di vista delle responsabilità. Con la dovuta cautela potrei quasi dire che gli opinion leader sono alla stregua dei manager e dirigenti aziendali con la piccola differenza che lo status di vertice della scala gerarchica non viene dato da una terza persona esterna (ad esempio l’imprenditore o il CDA nelle classiche aziende) ma dalla base, da coloro cioè che poi andranno “gestiti” moltiplicando quelle che sono le aspettative.
Esiste, secondo me, poi un livello intermedio definito da quei soggetti, anche qui, implicitamente designati , ma stavolta dai leader, e che rappresentano i “collaboratori” (termine errato come semantica ma ideale come visione d’insieme) del vertice e che hanno il compito di raccordo tra la base comunitaria e gli influenzatori.
Per ultimi poi ci sono i soggetti “semplici” quelli cioè che seguendo gli opinion leader influenzano i comportamenti di coloro che esterni alla comunità e che vanno a definire i comportamenti del consumatore.
Se è chiaro che le aziende devono investire, in maniera non equa ma privilegiando coloro che influenzano con i comportamenti la base comunitaria, non sono così evidenti quelle che sono le problematiche di gestione dei rapporti con la base che il vertice comunitario deve affrontare, considerato anche il particolare contesto nel quale operano.
Proviamo a fare un esempio per comprendere la criticità; in un’azienda il manager deve gestire in maniera oculata le risorse “intermedie” che a loro volta gestiscono le componenti operative, il tutto con un controllo puntuale del vertice aziendale che pone degli obiettivi da raggiungere che parametrizzano la buona o la cattiva gestione. Questo tipo di organizzazione piramidale, piuttosto semplificata, vale grossomodo per le realtà aziendali moderne.
Il fatto che le comunità non siano formalmente piramidali e che non prevedano un flusso verticale continuo complica la questione. Gli opinion leader devono mantenere alta l’attenzione su fattori diversi che influenzano i comportamenti della base e l’essere un’organizzazione di tipo circolare (i leader sono individuati dalla base e riconosciuti come tali in un determinato momento e non con regia nomina) con una partecipazione assolutamente volontaria porta a dover porre, da parte del vertice, maggiore attenzione sugli “stati d’animo” delle diverse componenti comunitarie.
Infine c’è da valutare il fattore investimento aziendale, motivo principale dell’esistenza stessa della comunità. L’impresa investe se e solo se questo porta vantaggi tangibili al business. Una gestione interna approssimativa porta, più o meno per definizione, ad un’implosione della stessa struttura che si trasforma in un problema per il rapporto azienda-comunità e quindi tramuta l’esborso da investimento a costo inutile, tra l’altro facilmente tagliabile dal management aziendale in quanto regolato da rapporti informali.
È chiaro come questa situazione porta al disgregarsi dell’organizzazione ed alla fine dell’esperienza di condivisione oltre che al fallimento del modello o al limite alla sua metamorfosi in differenti organizzazioni con però caratteristiche diverse che, magari, non sono condivise con i soggetti che la compongono.