imagesSecondo me, maggio è stato il mese delle persone. E della loro incapacità di dialogare realmente ed efficacemente. In tutte le realtà possiamo riscontrare questa mancanza, dalla politica che ha preso i nostri voti e li ha buttati nel cestino per mettere insieme un governo impastato e che puzza tanto di anni ’60, all’informazione che sempre di più sta perdendo il contatto con i lettori/ascoltatori offrendo notizie e dibattiti autoriferiti e preconfezionati.

Maggio ha visto persone sparare perché non ascoltate, si, lo so, non è certo una novità, la novità sarebbe ascoltare! Ci siamo occupati di questo tema, che naturalmente è osservabile anche nel comportamento delle aziende nei confronti dei propri clienti, proprio a inizio mese, da qui mi sono proposta di prestare più attenzione ai modi con cui alcune aziende, magari quelle sotto gli occhi di tutti, si rapportano con il loro pubblico. Ed eccolo lì, caso macroscopico: Equitalia, di cui per altro, proprio lo scorso mese, a lungo si è parlato per una sua eventuale chiusura. Cos’è Equitalia? Lo sappiamo purtroppo in tanti, se non altro per quel brivido lungo la schiena che ci colpisce quando vediamo l’intestazione di una busta nella nostra casella delle lettere, è la società di riscossione crediti utilizzata dall’Agenzia delle Entrate e da moltissimi comuni italiani per recuperare i mancati pagamenti dei cittadini, istituita, come ente pubblico, nel 2005, dal Governo Berlusconi.

L’accusa mossa ad Equitalia è quella di gestire le pratiche in modo asettico e, quasi, disumano, senza valutare caso per caso e senza distinguere il cittadino evasore dal cittadino in difficoltà. Un caso di NON ascolto lampante, sottolineato da tan ti gravi fatti di cronaca, e aggravato dal carattere statale dell’ente in oggetto. Già un certo numero di sindaci, negli ultimi mesi, si è ribellato a questa situazione e ha cercato soluzioni sul proprio territorio. Dopo una fase di ascolto delle problematiche dei propri cittadini, questi sindaci hanno trovato la soluzione incaricando strutture locali, più a contatto con il territorio, in grado di garantire una maggiore rapidità amministrativa, la capacità di ascolto e dia analisi delle situazioni individuali e soprattutto l’individuazione condivisa di una soluzione personalizzata caso per caso.

Già, personalizzata. Mi sono fermata un secondo a rimettere su questo aggettivo, e non ho potuto fare a meno di pensare ad un altro caso significativo di comunicazione aziendale personalizzata che ha visto la luce lo scorso mese: la campagna di Coca-Cola per l’estate “#condividiunacocacola. Devo ammetterlo, sono stati bravi. E ve lo dice, una persona che non beve (e non ama) Coca-Cola. L’idea di sostituire, o affiancare, al brand, un nome proprio, un vezzeggiativo, una dedica, è… uno trovo altre parole… geniale! Il cliente così è al centro, è protagonista, è sulla sua bottiglia di Coca-Cola, che diventa, oltre che una bevanda, un luogo di scambio, di condivisione, di pensiero, di sentimenti.

Quindi, in risposta, alla nostra analisi, effettivamente un po’ pessimista, sull’incapacità diffusa di ascoltare, un caso, vabbé è solo uno, ma è un inizio, di una multinazionale che un occhio al cliente lo butta davvero!