La scorsa settimana, mentre preparavo una nuova presentazione sulla Brand Advocacy per un seminario, le mie timeline erano piene di comunicazioni di corsi, eventi, meeting e convegni sui social media e sul digital marketing. Ironia della sorte: esattamente il contrario di quanto stavo scivendo. Gran parte di queste erano del tipo “stiamo facendo questo e quello…”, “devi fare cosi o non devi fare così…”, oppure includevano citazioni di questo o quel relatore, docente, consulente, guru o formatore…

Un frastuono pazzesco di autoreferenzialità, fatta soprattutto da chi dovrebbe in qualche modo dimostrare quanto è importante sempre e comunque dimostrare che il calzolaio deve dare l’esempio e avere per primo la scarpa aggiustata.

Quando il Clutrain Manifesto ci diceva che i mercati sono conversazioni, non pensava certamente a questo. La “foga” di poter disporre di uno strumento di comunicazione accessibile a volte ci fa dimenticare le regole primarie del cambio di paradigma a cui stiamo partecipando (già da un po’).

Quando pensiamo a una conversazione nella vita di tutti i giorni, diamo per scontato che avvenga tra due parti entrambe consapevoli dell’importanza di parlare e ascoltare. È una strada a doppio senso. Sembra che questa elementare regola di vita si dissolva con una semplicità ai limiti del buon senso, quando vestiamo i panni aziendali e parliamo, parliamo, parliamo dichiarando di ascoltare, di mettere al centro i nostri clienti, utenti, “seguaci”, follower senza che questo però realmente accada. Ma ascoltare davvero cosa significa? Tornando alla vita di tutti i giorni significa comprendere, non interrompere, non “blaterare”, non imporre la propria voce; significa cercare di non trascurare e di non lasciare qualcuno per strada; richiede spesso una successiva azione, impegno o reazione. E nella conversazione con il cliente? Spesso questa semplice regola sembra mancare.

fare pubblicità alla fermata dell'autobus

Una sintesi delle presentazioni complete del 2008, 2009 e 2012 la trovate qui (Issuu non supporta Safari).
Quella 2013 sulla brand advocacy se vi interessa… beh provate a chiedere J

Siamo abituati a fare pubblicità alla fermata dell’autobus considerando solo lo spazio da riempire, quando invece dobbiamo considerare la persona che vive quello spazio, quel luogo. La riuscita della conversazione dipende dalla nostra capacità di comprendere che la rilevanza di quanto stiamo raccontando è funzione della personalità, dei bisogni e della situazione vissuta dalla persona. Siamo soliti considerare e parlare dei social network come di uno strumento di comunicazione, ma sarebbe più utile ad ognuno di noi pensarli più come ad un luogo. Sono molto più simili concettualmente ad una piazza (virtuale) nella quale possiamo pensare di affiggere dei poster o dei cartelloni pubblicitari (ne più e ne meno di quello che proviamo a fare, ma forse con meno probabilità di successo, quando pubblichiamo l’ennesimo dei nostri contenuti nella speranza che qualcuno clicchi un link, metta un like o ci faccia un retweet o un condividi) oppure possiamo pensare di far vivere delle emozioni o delle esperienze alle persone che usualmente vivono in quella piazza pensando ad una comunicazione centrata sulla persona e non sul messaggio e che tenga in considerazione cosa quella persona vuole veramente sentire.

Da una indagine della Bain & Company “l’80% dei CEO crede che la propria azienda fornisca una customer experience superiore, ma solamente l’8% dei clienti è d’accordo”

Di nuovo. Autoreferenzialità! Il suono delle nostre parole rieccheggia soprattutto per alimentare i nostri ego. Mettere al centro il cliente, utente, “seguace” o follower è una dichiarazione di intenti spesso abusata che raramente ha una concreta e vera contropartita in termini di azione, impegno o reazione.

Gartner sostiene che “il 95% delle imprese raccoglie il “feedback” dei clienti. Eppure solo il 10% lo usa per migliorare, e solo il 5% interagisce con il cliente in risposta a quello che ha ascoltato”.

È chiaro e ne abbiamo le prove: non stiamo veramente ascoltando!

Una evidente miopia che dimentica che:

“I clienti comprano per le loro ragioni, non la tua.” – Orvel Ray Wilson

 

Inviate un tweet al vostro brand, personal brand, azienda, agenzia di comunicazione, web marketing o social media guru preferito con un vostro pensiero, domanda o richiesta e metteteci l’hashtag #setidicocheseiunpirlachefai? Se neanche così riuscirete a farlo smettere di parlare e fermarsi ad ascoltarvi veramente, allora forse state idealizzando e riponendo troppa fiducia nel “rapporto” e forse dovreste riconsiderare l’ipotesi di sostenerlo ancora…