Il tema dell’advertising online è uno dei piu’ frequenti, e anche qui in four.marketing, anche nell’ultimo post, ho provato ad identificare (e auspicare) un cambio di rotta. Un paio di commenti molto pertinenti ed interessanti hanno confermato che effettivamente la questione è importante, non solo per le aziende che investono nella pubblicità online, ma anche per gli editori che di quella risorsa fanno la principale fonte di finanziamento.
Quanto auspicato, ossia un ritorno all’integrazione del messaggio pubblicitario in contenuti interessanti per aumentare la fiducia nel mezzo di comunicazione e di conseguenza nell’efficacia del messaggio, è esattamente quanto viene oggi definito come “Native Advertising“. Molti siti specializzati come Mashable si sono dilettati nel definire il Native Advertising, ma in pratica siamo di fronte ad un nuovo nome “esotico” per identificare un’attività di PR online. Nella fattispecie i classici redazionali: tutti quei contenuti editoriali che partono da un tema interessante per l’utente e arrivano a proporre, in maniera intelligente e non troppo marcata, dei prodotti o dei brand che sponsorizzano tali articoli.
Tutto parte da un dato di fatto che abbiamo sottolineato a piu’ riprese, il display advertising, la banneristica classica, i formati invadenti hanno portato l’utente man mano a non percepire il messaggio fino a praticamente non vederlo. Il recall dei banner, per non parlare del bounce rate, hanno peggiorato le loro performance con la progressiva evoluzione ed esperienza dell’utente che evita qualsiasi tipo di interferenza con i messaggi pubblicitari. Già Google si è mossa in questo senso provando ad identificare altri strumenti di misurazione dell’attenzione dell’utente per il messaggio pubblicitario attraverso l’active view. Questa nuova metrica che Google ha ben descritto nella propria sezione “innovations” nell’online advertising, non fa altro che misurare l’effettiva visualizzazione dell’annuncio pubblicitario attraverso un javascript nell’annuncio. Questo consente di identificare in maniera precisa per quanto tempo quell’annuncio è stato visualizzato e se effettivamente è stato visto dall’utente.
Lungi dal risolvere il problema di per sè, di sicuro questa metrica pone pero’ le basi per una riflessione piu’ ampia sul modo di condurre l’advertising online. Come confermato da altri addetti ai lavori, la fidelizzazione o engagement, che si voglia chiamare, è la vera chiave su cui i portali e le testate editoriali devono fondare la propria strategia. Concedere spazi e formati pubblicitari in stile estensivo, sottovalutando la perdita di credibilità e di attenzione del proprio pubblico, porta inesorabilmente ad un impoverimento del valore del sito editoriale stesso e ad un progressivo abbassamento delle performance pubblicitarie.
Da un punto di vista delle aziende credo che porre il proprio cliente al centro, cercando di conoscerlo nel suo profilo di interessi e di fruizione dell’informazione online, sia ormai divenuto imprescindibile. Offrire contenuti rilevanti e un valore aggiunto, direttamente o attraverso i media online, non è solo una best practice aziendale, ma la condizione necessaria per dare visibilità al messaggio pubblicitario e farlo ricordare. In un sistema di sovra-informazione solo la rilevanza, la pertinenza e la fiducia possono dare efficacia al messaggio pubblicitario.