L'Ufficio Stampa aiuta le aziende a relazionarsi con i giornalistiA fare gli addetti stampa si finisce col diventare un po’ cuscinetti di sicurezza, pronti a salvare la vita al malcapitato che si sta schiantando sui media o a coccolare i giornalisti fino ad addormentare la loro tagliente penna.

Essendo incaricati (e pagati!) dalle aziende gli addetti stampa devono ovviamente lavorare nell’interesse del cliente, comunicando nel modo migliore e secondo la strategia più funzionale a rafforzare un’immagine positiva di una determinata realtà aziendale o istituzionale.


Ci si para quindi a schermare le interviste scomode, si esplode al momento opportuno per salvaguardare la reputazione del cliente quando compromessa, e ci si gonfia per amplificarla quando troppo moscia.

(A dir la verità per fare questo lavoro è richiesto un talento scenico non indifferente).

Ma la cosa che non sempre le aziende tengono in considerazione è che spesso e volentieri il cuscinetto lo si fa anche nell’altra direzione, a tutela cioè dell’incolumità dei giornalisti. Si perchè quando le aziende si mettono possono rovinare in pochi istanti la più stratosferica strategia di ufficio stampa… E una reazione sacrosanta ma mal espressa e mal gestita contro un giornalista può rivelarsi il più grande autogol di comunicazione, sbriciolando anni di lavoro in una sola telefonata o mail.

Giornali, aziende e ufficio stampa: un rapporto non facileIl rapporto che gli addetti stampa hanno con la stampa è infatti molto delicato. Costruito negli anni con fatica, spesso e volentieri (soprattutto con quei giornalisti che si frequentano più spesso) trasformatosi in amicizia, il rapporto diventa biunivoco. Il confine tra lavoro per il cliente e piacere per il giornalista finisce col diventare molto sfumato. E sempre di più oggi che i freelance sono tanti e affamati.

E’ difficile stabilire fin dove arriva il servizio per il cliente e dove comincia quello per il giornalista, che spesso si finisce con l’aiutare a scrivere l’articolo (quando non a scriverlo del tutto…).

Quello che si cerca all’infinito è proprio un punto di equilibrio nel quale il sensore dell’air bag non faccia scattare l’emergenza.

Si promuove la notizia del cliente ma sempre rispettando la professionalità e l’autonomia del giornalista, facilitando il suo lavoro e fornendo tutto il supporto necessario nel reperimento delle informazioni.

Questo delicato e precario equilibrio rischia di perdersi facilmente tutte le volte che i clienti si arrabbiano con la stampa perché la notizia non è stata pubblicata, perché ci sono stati errori o incomprensioni, perché non è stato dato abbastanza spazio, perché è stata messa una foto sbagliata, perché è stato dato più spazio alla concorrenza… etc etc…

Se di mezzo non ci fosse un addetto stampa a filtrare le ire del cliente (e a sobbarcarsi tutti i “Perché???”) si rischierebbe grosso.

Perché non c’è cosa che infastidisce di più un giornalista del ricevere delle critiche da parte del soggetto dei propri articoli. Eventuali repliche o precisazioni vanno gestite nel massimo della delicatezza, ricordando sempre che il giornalista non solo può scrivere quello che vuole ma sarebbe anche vincolato deontologicamente ad essere indipendente e a non essere mai è poi mai “comprabile” dalle aziende e dagli uffici stampa. 

Un esempio? È cosa davvero spiacevole dover chiedere al giornalista di farci vedere l’articolo prima della pubblicazione per correggerlo dove non ci comoda. Primo perché il giornalista non dovrebbe neanche farlo, secondo perché significa mettere in dubbio la sua professionalità. Se poi capita che proprio per un rapporto di amicizia sia il giornalista stesso ad avere il piacere di condividere un testo per essere sicuro di scrivere correttamente alcuni passaggi (spesso capita con testi prettamente tecnici) allora è un altro paio di maniche.

Alcuni addetti stampa (soprattutto alcune addette stampa) debordano dal loro ruolo di air bag finendo col diventare eccessivamente aggressivi nei confronti dei giornalisti o al contrario persino troppo sdolcinati, dimenticando che loro per primi, come giornalisti, sono tenuti ad essere a servizio prima di tutto della verità.

Fare l’addetto stampa richiede quindi grandi doti interpersonali, per gestire il delicato rapporto con i media con la giusta cortesia e professionalità, nonché per arginare gli impeti talvolta controproducenti dei clienti. È un duro lavoro, che qualcuno deve pur fare, per rendere più sicuro il viaggio alle aziende che salpano verso nuovi orizzonti comunicativi. Un duro, soffice, lavoro che – se fatto bene – finisce col diventare vero e proprio servizio indiretto ai lettori e alla verità.