Quanto i social media hanno influenzato il vostro comportamento durante l’elezione del Capo dello Stato?Quanto i social media hanno influenzato il vostro comportamento durante l’elezione del Capo dello Stato? Questa domanda ricorre con una certa frequenza in molti talk show politici di questi ultimi giorni. In effetti, l’elezione del Capo dello Stato è stata, nel bene o nel male, un primo esercizio, non pianificato, di democrazia diretta in Italia.  Obiettivo di questo mio post non è esprimere delle valutazioni sull’opportunità di ridisegnare la nostra democrazia alla luce del potenziale di queste tecnologie. Ne, tanto meno  evidenziare, una volta di più, come l’uso di queste tecnologie stia cambiando, nei fatti, la nostra pratica quotidiana e la percezione del nostro ruolo – come cittadini, come consumatori, etc. – nella società. Tenterò, invece, di fare un passo ulteriore nella direzione di una maggiore consapevolezza delle condizioni di appropriabilità di tale potenziale.


Infatti, mai come questa volta, a mio parere, è emerso con tanta chiarezza che i social media non sono né buoni né cattivi, ma è l’uso che se ne fa e il contesto in cui sono inseriti che fa la differenza. Proverò, quindi, a sintetizzare, a mo’ di lista della spesa, i principali punti che, a mio parere, sono emersi con forza in questi giorni un po’, a dir poco, travagliati.

Attenzione, però, a credere che il significato di questo esperimento sia da leggersi solo con solo riferimento alla politica intesa come governo di un territorio. I risultati possono essere estesi alla governance dell’impresa. La politica, in fondo, altro non è che  la determinazione di un spazio pubblico a cui tutti i cittadini, intesi come membri di una comunità, partecipano. Le teorie più recenti descrivono l’impresa come una comunità che governa uno spazio pubblico condiviso, i cui confini sono sempre meno definiti e chiari. La responsabilità sociale d’impresa altro non è che il riconoscimento dell’impossibilità di governarla in modo autonomo dal contesto relazionale di cui è parte, che comprende non solo i fornitori, i clienti, e la pubblica amministrazione, ma anche le comunità locali o i gruppi di attivisti. Il fenomeno del consumerismo, ad esempio, altro non riflette che la cessione di diritti di controllo, dall’impresa ai consumatori, in ragione della loro maggiore possibilità di informarsi, condividere e collettivamente controllare. I social, in questo senso, hanno contribuito enormemente a questo risultato. È in questa prospettiva, perciò, che l’analisi del caso dell’elezione del Capo dello Stato è interessante anche per le imprese che vogliono imparare a governare questi processi collettivi ed allargati coniugando valore per se e per la/le comunità a cui si rivolgono.

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L’obiettivo, dunque, è quello di individuare cosa serve per favorire l’appropriabilità del valore che emerge all’esterno dell’impresa e più precisamente nei social media. A mio parere è possibile individuarne 3:

  1. Voglia di partecipare e stimolo alla partecipazione. È innegabile che l’elezione del Capo dello Stato si sia contraddistinta, per la prima volta in Italia, per un elevata partecipazione dei cittadini. Questo non vuol dire che i social non abbiano avuto, sino ad oggi, alcun ruolo nella Politica. Il successo di M5S in Italia o del partito dei Pirati in Germania testimonia come sia possibile dare forma a soggetti politici attraverso la Rete. Quello che voglio dire, invece, è che per la prima volta in Italia i cittadini hanno partecipato numerosi ad una decisione politica puntuale. Sarebbe un errore credere che questo sia merito solo dei social. La voglia di partecipare e di aver un ruolo sono legate all’importanza del momento. Molti hanno sentito, per ragioni anche molto diverse, che ciò che stava per essere deciso era importante per loro stessi e per il loro futuro. Le ragioni sono molteplici: la crisi economica; l’avversione e la contrapposizione nei confronti della classe politica; la forte esposizione mediatica. In tutto ciò, i social hanno rappresentato solo lo strumento/la piattaforma (efficiente ed efficace) attraverso cui esprimere il proprio dissenso e/o supporto.
  2. Identità condivisa e trasparenza. La capacità dei social di mettere a nudo le divisioni interne ha una implicazione diretta sul bisogno di trasparenza. In passato, quando il legame con l’esterno era debole se non assente, era possibile governare il malcontento e le divisioni al proprio interno. Nell’era dei social, al contrario, questo sembra non essere più possibile. Ma anche in questo caso siamo difronte ad un problema organizzativo. Il punto è che in assenza di un identità condivisa – un sistema di norme e valori comuni con cui tutti i membri di un organizzazione si identificano e per la cui difesa sono disposti a metterci del proprio – le forze centrifughe prevalgono su quelle centripete. I “membri” dell’organizzazione diventano estroversi: si fanno trainare dalle reti esterne a cui fanno riferimento, perdendo la propria capacità di selezionare e tradurre in valore il potenziale generato da quelle stesse reti. Quest’ultimo punto è fondamentale anche per l’impresa. Aprirsi ai social senza avere un identità profondamente radicata e condivisa, significa esporsi alle forze centrifughe che sono insite in queste reti. Tanto più nel caso dell’impresa dove, sino ad oggi e nella maggioranza dei casi, le scelte di partecipazione ed appartenenza hanno avuto uno scarso contenuto valoriale e significato sociale.
  3. Gestione del trade-off tra leadership e identità condivisa. Entrambe le forze politiche che hanno sentito meno la pressione dei social sono caratterizzate da una leadership forte. I due stili di leadership sono, per certi versi, diametralmente opposti. Ma entrare nel dettaglio di questo aspetto richiederebbe un altro post. Hanno, però, dei tratti comuni. Entrambe le leadership sono concentrate. La leadership coincide con una persona. Entrambe le leadership hanno un carattere trachant e fanno leva sulla contrapposizione per rinsaldare le proprie truppe e costruire il consenso su di sé. Entrambe le leadership hanno un target chiaramente definito a cui parlano conoscendone profondamente linguaggi e toni. Entrambe le leadership vengono, anche se poi ne fanno un uso diverso, dal modo della televisione e dello spettacolo. Per cui, hanno una profonda conoscenza di questo mezzo, del suo funzionamento, dei suoi tempi, e del suo ruolo nell’attivare la testa della coda ovvero i mercati di massa. Esiste un rapporto di sostituzione tra leadership e identità condivisa. Più l’identità è comune all’interno di un gruppo meno c’è bisogno di un leader per regolarne il comportamento. I due però sono anche complementari. C’è bisogno di una leadership forte per superare il cosiddetto dilemma dell’azione collettiva, che per raggiungere il suo scopo ha bisogno della collaborazione di tutti. Ma una leadership che non si traduce in identità condivisa pone le premesse per la propria fine. Steve Jobs aveva molte delle caratteristiche di cui sopra. Si pensi solo al carattere televisivo che hanno assunto le keynote speech negli eventi Apple. Ciò che non è riuscito a fare è tradurre il carattere della propria leadership in identità condivisa. Sembra questo il male che colpisce (ancora una volta) Apple in questi giorni, a dispetto degli ancora ottimi risultati finanziari.