Che Facebook fosse una costante nella vita di molte persone e soprattutto alla base di molti rapporti interpersonali è dato per assodato, MA ha veramente sostituito gli occhi diventando lo specchio dell’anima?
L’allegoria creatasi è tanto inquietante quanto veritiera.
I nostri occhi sono quasi costantemente fissi su quei 4,10,13,22… 41 pollici anziché rivolti allo sguardo di un interlocutore in carne ed ossa?
Se così fosse, non è forse arrivato il momento di fermarsi e riflettere su come tutto questo stia cambiando, oltre i rapporti con gli altri, il rapporto con noi stessi?
Insomma una “bacheca” può realmente rappresentare ciò che siamo? Leggendo i post di un estraneo possiamo anche solo pensare di conoscerlo o altresì crearci un suo identikit? Possiamo compromettere un ipotetico colloquio di lavoro, magari per una foto imbarazzante postata dagli amici o un commento inappropriato? Appartenere alla Rete ci rende parte di un campione “affidabile” su cui fare statistiche?
È interessante a questo proposito è lo studio condotto da una ricercatrice dell’Università del Missouri: Elizabeth Martin per diagnosticare malattie mentali consiglia l’analisi dei profili Facebook.
Sarebbe emerso che il profilo Facebook di una persona può rivelare segni di malattie mentali che potrebbero non necessariamente emergere in una sessione con uno psichiatra, per vari motivi come lo scrivere istantaneamente, condividere in un determinato momento certi pensieri e soprattutto poter accedere alle “parti delle attività” che l’utente sceglie di nascondere, indicano uno stato psicologico particolare e definibile.
Molti possono essere i punti di vista positivi, come ad esempio la totale analisi per le persone che richiedono cure mediche di questo genere; il portare la gente ad essere trasparenti nella routine sociale e quindi evitare di “apparire”. Ma i lati negativi? O meglio, se certi dati potessero essere invalidati da un nostro perverso volere? Essendo coscienti di essere “osservati” l’utente mostra ciò che vuole o inevitabilmente è possibile creare dei canoni a cui attenersi per comprendere la psiche?
Ovviamente contestualizzando questo tipo di analisi nel mondo lavorativo i lati positivi non sono proprio così evidenti.
Di questi tempi è inevitabile risparmiare tempo per accelerare tutto infatti si sente molto spesso che molte imprese per una prima cernita, durante la scelta dei candidati, si rivolgono a ricerche in Rete.
Tempo fa parlando con due amiche affrontammo il discorso poiché un amico dovendo affrontare un colloquio importante in settimana si eliminò da Facebook perché non fossero disponibili info personali oltre a quelle offerte da Linkedin.
Certo fa riflettere come la nostra presenza online sia tanto utile quanto distruttiva, ci si preoccupa della privacy ma inevitabilmente si arriva a dei momenti in cui si vorrebbe scomparire per paura di qualche fraintendimento. È quindi Facebook diventato una cartella clinica più che un biglietto da visita? Quest’ultimo lo dai a chi vuoi tu – accetti/ rifiuti e richiedi amicizie – , rispecchia ciò che vuoi far emergere di te – scelta del font, della filigrana – e soprattutto mette in contatto ma se si trasforma in scheda clinica che può succedere?
Credo sia giusto riflettere sul nostro comportamento online perché giorno dopo giorno il nostro profilo sarà sempre più definito e forse potrebbe diventare impossibile distinguere o difendere un pensiero che magari non coincide con quello pubblico!
L’utente web deve quindi decidere se valga la pena ampliare il suo “mercato in entrata”, magari alterando la sua immagine virtuale, così da raggiungere posizioni che non gli si addicono totalmente o confidare nella massima trasparenza così che, restringendo il campo possa trovare l’impresa che davvero incontra il suo Essere.