Ci pensate mai a quanto tutti noi abbiamo a che fare con le parole? Per aspirare al Nobel o semplicemente per scrivere un volantino dell’associazione di volontariato.
Finita la scuola, qualcuno ha pensato di essersi tolto il pensiero, basta brutte copie e temi da svolgere, qualcun altro invece ha scoperto che giocare con le parole era un’attività interessante. C’erano le pagine di un diario, i romanzi iniziati a dodici anni e mai portati a termine, e c’era qualcuno che una penna proprio non voleva tenerla in mano.
Poi c’è stata la rivoluzione digitale e abbiamo pensato che la scrittura, come l’avevamo sempre conosciuta, sarebbe scomparsa per la gioia di alcuni e il rammarico di altri. Invece, proprio il Web ha moltiplicato esponenzialmente le possibilità di scrivere: grazie a forum, blog, social network e tutto il resto, una smisurata quantità di conoscenza fatta di parole è tornata alla ribalta. Soprattutto, il Web ha rimesso al centro l’importanza del contenuto.
Oggi abbiamo capito che, indipendentemente dall’obbiettivo o dalla necessità del momento, con le parole ci dovremo sempre confrontare e che, nonostante le immagini ci riempiano la giornata, le relazioni sono fatte di parole. Colorate magari.
Sono sempre stato affascinato dalla genesi di un testo scritto, un processo complesso e multiforme che comincia in qualche posto nella testa dello scrittore e che, oltre a tecnica ed esperienza, è fatto di riti, scaramanzie o imprescindibili abitudini diventate proverbiali . Una volta intuito, esiste l’applicazione del metodo, diverso per ognuno, per rendere concreta l’idea.
1. Essere consapevoli di come si è fatti.
Sembra banale ed invece non lo è. Nello scrivere, ma per quasi in tutte le attività, noi esseri umani ci dividiamo in due categorie molto definite: chi, preso dall’ansia, programma con precisione per arrivare pronto all’appuntamento e chi invece ha bisogno dell’adrenalina dell’ultimo momento. Non esiste giusto o sbagliato, esiste solo la correttezza nei confronti dei colleghi e del cliente.
Rispetta ciò che sei, è inutile sprecare energie per andare contro la propria natura, ma conoscendola potrai sfruttarla per ottenerne il meglio.
2. Scegliere, non incollare
Solitamente, per ogni lavoro creativo, esiste una parte più o meno cospicua di materiale scartato. All’inizio, soprattutto quando si è giovani, non ci si fa caso. Poi, a un certo punto, la guardi e pensi che sia uno spreco; con il tempo ti metti l’animo in pace perché un buon lavoro è un lavoro di scelta tra molte opportunità, non di collage.
Cerca sempre un’altra possibilità; non aver paura perché non è tanto importante il risultato quanto quello che ogni percorso ti ha insegnato.
3. Correre, perché la paura non ti salti addosso
Che tu sia estremamente minuzioso come chi programma o “silenzioso” come chi fa tutto all’ultimo momento, quando il lavoro preparatorio sarà terminato, prenditi un bel respiro e via di corsa giù per la collina senza fermarsi.
Il lavoro creativo ha un terribile nemico: noi stessi!
Una parte di noi ha paura. La creatività è un emozione fortissima e, soprattutto, antropologicamente contro natura: l’uomo tendenzialmente non è propenso al cambiamento. Ma in quel momento è meglio buttarsi e correre senza pensarci. Dopo verrà la verfica, la revisione e il respirare.
Che il programma sia pronto o meno, arriva il momento in cui bisogna buttarsi. Buttarsi senza remore. Ci penseranno la nostra esperienza e preparazione a salvarci al momento opportuno.
4. Abbandonare le impalcature
Ognuno di noi ha, oltre a una struttura psicologica “ben” definita, anche un determinato linguaggio con ritornelli lessicali, sintattici e piccoli vezzi. Nel parlato come nello scritto. Dopo aver fatto la corsa creativa è bene rivedere dove abbiamo lasciato queste “parole impalcatura” che ci fanno sentire più sicuri, ma purtroppo rendono meno efficace il testo. Non è facile. In questo caso possiamo farci aiutare da un collega o da un amico. Il mio vezzo? Mettere aggettivi possessivi ovunque anche quando non servono: mio, tuo suo… come se dovessi assegnare qualche proprietà a qualcuno.
Essere consapevoli dei propri difetti e imparare, giorno dopo giorno, a tenerli a bada è il più grande allenamento che possiamo praticare per la nostra intelligenza.
5. I sinomini aprono l’orizzonte
A cosa serve leggere per scrivere? Serve per ascoltare parole, sintassi e forme diverse. Abituare l’orecchio ad altre sonorità, che al momento opportuno torneranno utili. I sinonimi sono meravigliosi, aprono strade inaspettate a volte. Per ogni scelta c’è almeno una possibilità di modificarla al meglio, basta avere orecchio per le sfumature. Vedrete quale ricchezza.
Il linguaggio è materia viva, nonostante le rivoluzioni e i mutamenti, è necessario rincorrerlo senza fermarsi.
6. La scrittura non è matematica
La scrittura non è matematica, ma ha delle regole che vanno rispettate. Con le parole raccontiamo quello che sta intorno al principio di causa ed effetto che sembra governi la nostra vita. Mettetevi l’animo in pace: non c’è la versione corretta, ma solo quella che riesce a raccontare ciò che di solito esce dal calcolo, dalla matematica spicciola del quotidiano.
È una battaglia lunga, ma ne vale la pena quando una pagina racconta davvero un’azienda, la sua storia e emoziona chi legge.
Capiterà a tutti di scrivere. Nessuno pretende di essere Calvino con la sua scrittura cristallina, ma pretendiamo da noi stessi di vincere la pigrizia e di cercare le parole per raccontare anche le sfumature.