A grande richiesta, una seconda riflessione, nella sezione altri autori, di Federico Mainardi sulla cultura e, in particolare, sull’arte e sulla sua funzione nella società contemporanea.

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Cos’è l’arte oggi? Da quando essa ha cessato di avere una funzione ben definita nella società ed è stata “relegata” nei musei, da quando si è frammentata, pluralizzata, perfino inserita nei cicli di produzione industriale? Questa domanda non smette di assillare esperti ed appassionati.

Capita invece assai meno frequentemente di udire un altro interrogativo, dal tenore più pragmatico: cosa può fare l’arte oggi? L’arte ha, da sempre, una capacità autenticamente pedagogica (laddove il significato della radice etimologica del termine “pedagogia” rimanda all’accompagnare chi ne ha necessità): a chi si prende la briga di interrogarla, essa sa insegnare modelli di pensiero e stili di comportamento, prefigurando scenari futuri. E chi più dei managers, quotidianamente impegnati a fronteggiare l’incertezza di un mercato sempre più imprevedibile, abbisogna della comprensione di modelli e stili di conduzione? È dunque possibile pensare taluni momenti della storia dell’arte come metafore di altrettanti stili di comportamento organizzativo, metafore in grado di esplicitarne, con linguaggio visivo, i vantaggi e le criticità?

I managers di oggi si trovano a dover stabilire una linea di condotta a fronte di una pluralità spesso incoerente di informazioni, della mancanza di punti di rifermento, dell’indeterminazione e incertezza che caratterizzano l’attuale congiuntura economica. Conviene reiterare soluzioni note? Con quali effetti a livello competitivo? Vale la pena concedersi la libertà di andare per tentativi? Quali sono i rischi? Cosa comporta la semplificazione sistematica dei processi? La storia dell’arte presenta esempi di svariati prototipi di comportamento. Non offre elementi che attestino l’assoluta bontà dell’uno a discapito degli altri ma, nondimeno, di tutti riesce ad esplicitare i tratti salienti, i pro e i contro.

Giorgio Vasari, nel XVI secolo, mostra esattamente cosa sia la ripetizione delle soluzioni note. Egli è il primo ad usare il termine “maniera” nel suo trattato Le vite: con lui è all’apice ciò che più tardi verrà chiamato manierismo, la ripetizione cinquecentesca del modo di dipingere dei maestri del Quattrocento, in particolare Michelangelo e Raffaello. Quale stile pittorico, più e meglio della maniera rinascimentale, con la sua facilità di lettura e assimilazione, sa incarnare la psicologia rassicurante e la sicurezza di presa sul fruitore che connota la reiterazione delle forme note? Nessuno più del Vasari, con la sua padronanza di composizione, prospettiva, luce, colore, pose ed espressioni, sa attestare il raffinamento tecnico spinto fino all’eccellenza che la reiterazione permette.

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E tuttavia egli è ricordato più come architetto e trattatista che come pittore, stante la sua poca originalità. Poca originalità da intendersi, anche, come poca consapevolezza delle origini: smarrimento della missione originaria. Il Settecento ha infatti rimproverato al manierismo di aver smarrito l’autentica missione dell’arte: riprodurre il modo di creare della natura, non copiare se stessa. Il manager che si affida alla reiterazione, quindi, deve anzitutto badare a non perdere mission e posizionamento sul mercato continuando a ripetere soluzioni note; deve imparare piuttosto a giocare oculatamente tra regola, cioè riproposizione di formule efficaci, e licenza alla regola. Proprio in questo modo nacque, in ambito manieristico, la straordinaria Madonna col collo lungo del Parmigianino, che sembra anticipare di centinaia d’anni Modigliani…

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Cos’ha da insegnare la storia dell’arte sul procedere per liberi tentativi? Soltanto l’ispirazione momentanea determinava i movimenti di Jackson Pollock, che volteggiava sulla tela nei suoi innovativi dripping; come il manager che si affidi all’istinto, egli non aveva modo di prevedere con sicurezza il risultato finale. Proprio da qui scaturiva la sua originalità, accompagnata da un vitalismo che costituisce, forse, l’equivalente dell’iniezione di motivazione di chi sa battere strade ignote per trovare nuove soluzioni.

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Pollock, però, di frequente gettava via quelle opere, ormai dispendiosamente ultimate, che non lo soddisfacevano; un pittore convenzionale non avrebbe mai raggiunto la compiutezza della tela, prima di rendersi conto di doverla scartare: la libera ricerca è sempre gravata non solo da un alto rischio di errore, ma soprattutto dal rischio di dissipazione delle risorse. Pollock ce ne offre un riscontro visivo: nel dripping l’opera intera risulta a colpo d’occhio perfettamente analoga ad sua una piccola sezione, che mantenga le stesse proporzioni dell’intero e ne venga isolata: il manager rifletta, allora, sul fatto che nell’aleatorietà del tentativo non è impossibile ottenere il medesimo risultato sia impiegando una modesta quantità di risorse, sia impegnandone una elevata. Ponderi l’esposizione al rischio di una gestione dissipativa, integrando preventivamente misure di bilanciamento.

Lo stile geometrico di Piet Mondrian rappresenta forse il massimo del rigore razionale applicato all’arte, quel rigore che è indispensabile al processo di semplificazione. Mondrian ricercò sempre forme essenziali, riducendo la complessità della figurazione a due soli elementi di base: linee rette e superfici monocrome. Tornando all’essenziale, egli non volle cimentarsi, come molti managers odierni, nell’improbabile sfida di ottenere più risultati con meno risorse; al contrario, posto un obiettivo chiaro ridusse le risorse onde ottenere soltanto il sostanziale: ciò che è davvero utile a portare valore.

Seppe anche evitare il pericolo dell’eccesso di semplificazione: contrastò il rischio di sorvolare su aspetti rilevanti concentrandosi proprio là dove sarebbe stato facile eccedere in uniformità. Le parti più interessanti delle sue tele, infatti, sono quelle bianche, dipinte stendendo vari strati di pigmento in direzioni diverse per conferire un maggior senso di profondità. Mondrian quindi, pur nella semplificazione, insegna a identificare quei dettagli in apparenza marginali, ma in realtà non trascurabili per la migliore riuscita.

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In conclusione, per un manager l’analisi e la comprensione di diverse modalità di comportamento è certamente indispensabile per aprire un ventaglio di possibilità tra cui scegliere consapevolmente, uno strumentario mentale da cui attingere conoscendo, di ogni strumento, i vantaggi e le accortezze per l’impiego efficace. Una cultura visuale potrà concorrere a rispondere a questa esigenza. Lo studio della storia dell’arte e l’analisi delle immagini, infatti, si traducono nella comprensione delle dinamiche di processi artistici che, essendo essi stessi organizzazione e gestione finalizzata di risorse, sono trasportabili negli ambiti organizzativi.

Nessuno sa esattamente cosa sia l’arte oggi; è certo, tuttavia, che essa mantiene ancora enormi potenzialità pragmatiche.