Giovani, carini e disoccupati, ce lo ricordiamo tutti, ma dopo quasi vent’anni – non per mettervi in allarme ma il film è del 1994 – quali sono i nuovi aggettivi che definiscono gli under 30? Da qui partiamo per un mese di analisi sul campo che ha avuto inizio il 26 gennaio quando a Milano, l’Istituto Giuseppe Toniolo in collaborazione con l’Università Cattolica del Sacro Cuore e la Fondazione Cariplo ha presentato il Rapporto Giovani, un’indagine svolta da Ipsos su nove mila persone sotto i 30 anni, la prima generazione di nativi digitali, i cosiddetti Millennials.
L’indagine raccoglie informazioni dettagliate su valori, desideri, e progetti di vita dei giovani, e sulla loro aspettativa di poterli realizzare. Uno dei più importanti temi indagati è la fruizione dei media, ed è stato verificato che l’accesso alle informazioni si stabilizza dopo i 25 anni ed avviene per lo più attraverso il web, infatti oltre l’80% dei giovani usa internet per informarsi mentre solo 1/3 degli intervistati legge un quotidiano cartaceo più di una volta alla settimana. Rimane alta la fruizione dei telegiornali – oltre l’80% – favorita dalla convivenza con i genitori; a questo proposito, estremamente rilevante risulta il dato relativo alla percentuale di giovani rientrati in famiglia dopo un periodo di autonomia dovuta ad un primo lavoro o a motivi di studio: oltre il 70% è costretto a tornare da mamma e papà.
Leggendo tutti i dati della ricerca emerge un profilo di un under 30 flessibile, disposto per oltre l’80% a trasferirsi pur di trovare o migliorare il proprio lavoro, e per il 50% anche all’estero, desideroso di raggiungere una propria autonomia, di creare una famiglia e di avere dei figli. Insomma, non è che questi poveri giovani non vogliano, il problema è che non possono, non sono messi nelle condizioni e nutrono anche poche speranze. Ben il 40% ritiene di trovare un lavoro solo attraverso le conoscenze, no non quelle professionali, quelle amicali!
Ha centrato il problema, durante la presentazione dell’indagine, Enrico Mentana, giornalista e direttore del Tg La7, che ha detto, in apertura del suo intervento, “ i giovani d’oggi hanno il mondo in tasca. Ma poi non hanno altro”. E ancora “se continuiamo a tenere i giovani a bordo campo, non impareranno mai a giocare”.
Ringraziamo per questo dettagliato ritratto, ma dove la troviamo qualche soluzione?
Secondo step. Non so se vi siete accorti che negli ultimi due mesi c’è stata in Italia la campagna elettorale. Forse gli under 30 non se ne sono accorti perché quasi nessuno ha parlato in modo costruttivo di loro e dei problemi di una rilevante fascia della popolazione. Infatti già nell’indagine Ipsos emergeva che i giovani bocciano politica e istituzioni, il 94% degli intervistati respinge senza appello i partiti con un giudizio fortemente negativo, il 90% circa poi non ha fiducia nella Camera e nel Senato. E non pensate che siano solo numeri, i dati hanno riscontro nella realtà.
Volete un esempio concreto? Eccovelo, il volantinaggio. È più facile che un trentenne scappi davanti ad un suo coetaneo che gli allunga un volantino elettorale piuttosto che un cinquantenne, per non parlare del settantenne che si mette anche a fare due chiacchiere. E anche le scelte politiche avvalorano le tesi di cui sopra, appoggiare un partito o meglio un movimento che giustamente condanna tutto quello che c’è, il presente, i presenti, ma si dimentica, forse, di avanzare proposte concrete, è come fare la rivoluzione in pantofole. “Può esserci rivoluzione soltanto là dove c’è coscienza”, diceva qualcuno, ma qui mi pare che ci sia solo rabbia, e anche se ben giustificata, questo sentimento difficilmente costruisce un futuro.
Confidiamo nei Giovani 3.0.
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