Se siete alla ricerca di una traccia sonora da inserire in un video o di un’immagine per illustrare l’ultimo post del blog aziendale o personale, non è il caso di scegliere la prima foto accattivante che trovate su Google Immagini o l’ultima hit della vostra popstar preferita! O meglio, potete utilizzarli se avete l’autorizzazione a farlo o se pagate le dovute royalties, altrimenti meglio cercare tra il materiale messo a disposizione con una licenza Creative Commons. Il progetto a Dicembre del 2012 ha festeggiato i primi dieci anni del set di licenze che assicurano il riutilizzo libero di opere dell’ingegno.

Creative Commons

Nell’era del web 2.0, tra miliardi di user generated content e la continua condivisione delle conoscenze, singoli, organizzazioni e imprese condividono e utilizzano contenuti prodotti da altri. Si può dibattere a lungo sul fatto che la libertà d’espressione e il diritto all’informazione siano più importanti o meno rispetto al diritto d’autore, ma chi lavora con i contenuti non può evitare di dover alla fine fare i conti con questa realtà.

La Costituzione Italiana nell’articolo 21 sancisce il rispetto della libertà di espressione, ma se i cittadini sono liberi di esprimersi e creare, quanto da loro prodotto dev’essere tutelato e l’autore ha diritto a ricevere un equo compenso da parte di chi usufruisce del suo lavoro, come aveva stabilito anche in precedenza la legge n. 633 del 22 aprile 1941. Proprio questa legge, che governa in Italia le norme riguardanti il diritto d’autore, stabilisce che l’oggetto del diritto d’autore sono “le opere dell’ingegno di carattere creativo che appartengono alle scienze, alla letteratura, alla musica, alle arti figurative, all’architettura, al teatro e alla cinematografia, qualunque ne sia il modo o la forma di espressione. Sono altresì protetti i programmi per elaboratore come opere letterarie ai sensi della convenzione di Berna sulla protezione delle opere letterarie ed artistiche ratificata e resa esecutiva con legge 20 giugno 1978, n. 399, nonché le banche di dati che per la scelta o la disposizione del materiale costituiscono una creazione intellettuale dell’autore“.

Con l’avvento della digitalizzazione le informazioni cominciano a essere svincolate dal supporto in cui sono veicolate: la dematerializzazione permette di copiare e diffondere le nuove copie digitali con estrema facilità e bassi costi di produzione. Il comune cittadino ha quindi la possibilità di usufruire delle opere altrui, gratuitamente, senza rendersi nemmeno conto di compiere un atto illecito. La riproduzione e la pubblicazione su web di contenuti diventano altrettanto facili ed economiche, oltre che diffuse. Siamo immersi in un flusso costante di post, condivisioni e retweet: diventa spesso difficile discriminare tra contenuti originali e copia-incolla, e si assottiglia il confine tra ispirazione e plagio. Secondo la legge n. 248 del 18 agosto 2000 tutti i testi pubblicati su internet sono automaticamente coperti da diritto d’autore.

Il diritto d’autore vale per qualsiasi opera, dal momento in cui essa è prodotta. Include due diverse tipologie di diritti: morali e patrimoniali. I diritti patrimoniali permettono all’autore di utilizzare economicamente la propria opera, ottenendo un corrispettivo per la riproduzione, l’esecuzione, la distribuzione e tutte le altre forme riconosciute all’autore dalla legge. I diritti morali invece sono del tutto indipendenti dai diritti di utilizzazione economica dell’opera e l’autore li deterrà sempre, anche in caso di cessione dei diritti patrimoniali. Copiare testi o dichiarazioni pubblicate in siti, blog o social network attribuendosene la paternità (oltre ad essere una pratica sconsigliata a fini SEO) lede quindi i diritti morali dell’autore.

Non a caso, da quando le testate giornalistiche online mettono a disposizione del pubblico articoli e inchieste, sotto ad ogni pezzo o editoriale appare con sempre maggior frequenza la dicitura Riproduzione Riservata, che prima non era così evidente. Che cosa significa? In pratica, la legge 633/1941 stabilisce che: “Gli articoli di attualità di carattere economico, politico o religioso, pubblicati nelle riviste o nei giornali, oppure radiodiffusi o messi a disposizione del pubblico, e gli altri materiali dello stesso carattere possono essere liberamente riprodotti o comunicati al pubblico in altre riviste o giornali, anche radiotelevisivi, se la riproduzione o l’utilizzazione non è stata espressamente riservata, purché si indichino la fonte da cui sono tratti, la data e il nome dell’autore, se riportato” . La dicitura “Riproduzione Riservata” in coda agli articoli determina quindi che chiunque riproduce in qualsiasi modo parti di articoli senza autorizzazione, sta commettendo un illecito. Da tenere a mente quando si vuole condividere una qualsiasi riproduzione di un articolo di giornale: meglio un link alla pagina web della notizia!

Le prime licenze del progetto Creative Commons, lanciato da Lawrence Lessig (il più grande esperto mondiale di diritto di rete), sono state rilasciate il 16 dicembre 2002. Dal copyright si è passati al concetto di copyleft (gioco di parole che può essere tradotto come rilascio di copia), proponendo un modello del tutto nuovo rispetto al precedente. Se, infatti, il comune diritto d’autore prevede “tutti i diritti riservati”, con queste licenze solo alcuni diritti sono riservati. L’autore consente di volta in volta il diritto a riprodurre, utilizzare o modificare la propria opera secondo la tipologia di licenza adottata. In dieci anni le Creative Commons sono state utilizzate da milioni di persone e organizzazioni, che hanno scelto di condividere le proprie opere con una modalità diversa, che permettesse alcuni utilizzi in precedenza negati.

Nello specifico, chi vuole condividere le proprie opere secondo il modello copyleft messo in pratica dalle Creative Commons può scegliere tra sei diverse combinazioni dei diritti d’autore: si può permettere o no il riutilizzo per fini commerciali dell’oggetto della licenza e la creazione di opere derivate (in questo caso si può prevedere che abbiano l’obbligo di utilizzare la stessa licenza dell’opera originaria). Le singole licenze quindi permettono, di volta in volta, che l’opera sia copiata, distribuita, rappresentata e modificata. Nonostante le possibilità di riutilizzo previste, nelle Creative Commons non possono venire meno i diritti morali: a quelli patrimoniali si può rinunciare, ma non alla paternità delle proprie opere.

Il diritto d’autore è spesso percepito dagli utenti del web come una norma che lede la libertà d’informazione, la libera circolazione delle idee e la creatività indispensabile per lo sviluppo umano. Con l’utilizzo delle Creative Commons è possibile tutelare la paternità di quanto è prodotto dall’intelletto concedendone allo stesso tempo la condivisione e lo sfruttamento a titolo gratuito. Tuttavia le problematiche che si riferiscono al copyright nell’era dell’informazione sono ancora tutte da risolvere, e non bisogna dimenticare che per il diritto italiano la mancanza di una firma di accettazione da parte dell’utilizzatore può inficiare la validità giuridica della licenza.

Le legislazioni internazionali stabiliscono con chiarezza in che termini è lecito utilizzare contenuti altrui, specialmente se video, musica o software, ma l’utente comune non sembra percepire che gli autori di opere dell’ingegno e della creatività hanno diritto a veder riconosciuto, anche a livello economico, il proprio lavoro. C’è solo un’unica certezza: il prodotto della creatività umana è un bene prezioso, e l’interesse di chi vuole trarne profitto (autori ed editori) inevitabilmente si scontra con coloro che vorrebbero usufruirne liberamente. Voi come vi ponete di fronte a questo dilemma? Secondo voi è più importante il diritto all’informazione o il diritto a ricevere un equo compenso per le proprie opere creative?

L’immagine utilizzata è di Maria Krüger (eigenes Werk – own work) [CC-BY-SA-3.0-2.5-2.0-1.0 (http://creativecommons.org/licenses/by-sa/3.0)], attraverso Wikimedia Commons.