Frogintervista: creativamente Cosmopolis

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limousineRisponde Pasquale Diaferia, Creative Chairman di Special Team

Era il 2003, Don DeLillo pubblicava Cosmopolis – ambientandolo nel 2000, un giorno di aprile – e riprendeva le redini del viaggio. Viaggio reale attraverso una Manhattan congestionata e vociante, viaggio simbolico tra le contraddizioni di una società che cerca l’originalità ma si affida al conformismo. Era il 2003 ma solo a calendario, DeLillo prefigurava la crisi della società contemporanea basata sul mercato globale, l’inganno della finanza e le false rappresentazioni.


Siamo nel 2013, dieci anni sono passati, una crisi che fatichiamo a superare, la perdita dei consueti punti di riferimento.

La limousine bianca di Cosmopolis però è ancora lì, perché non farci un giro Diaferia?

1) 2003-2013, come è potuto succedere? Se DeLillo intravedeva il nascere di drammatiche contraddizioni, il resto del mondo non ha voluto guardare? O ci siamo lasciati condurre da un susseguirsi di decisioni tutte sbagliate? Mi viene in mente Snoopy con le sue 120 decisioni, tutte sbagliate…

Veramente io sono molto peggio di Snoopy, e questa è la mia forza. Credere che prendere tutte decisioni giuste sia un modello vincente, è peregrino, a mio giudizio. Una sana cultura da comunicatori di successo prevede anche errori, e sconfitte, e ripartenze.

2) Si ma ci sarà una logica che guida a prendere le decisioni?

Certo la logica dell’errore non esiste, altrimenti si eviterebbero tutti gli errori. Io parlo da creativo e posso vantarmi di sbagliare frequentemente perché faccio un lavoro atipico ed asistematico. Per fortuna c’è una quota di casualità e di serendipity, anche nella vita di tutti i giorni delle persone normali: questo mette tutti al riparo dall’esaltazione pura della logica, del tecnicismo, del successo. Questo ha impedito di ammazzare la fantasia

3) Questa limousine è piena di monitor, da qui si definiscono i piani strategici. Il protagonista di Cosmopolis fa della virtualità la sua arma di successo. Qual é secondo te il punto di contatto virtuoso tra la creatività e il pensiero strategico?

Credo che questi due elementi si incontrino nella dimensione del gioco, che consente di mettersi in discussione, di rischiare superando le teorie esistenti. In pratica si incontrano nelle decisioni, anche sbagliate, che preludono al nuovo, al mai visto, alla vera creazione. Ci possono essere decisioni “non convenzionali” che, per contingenza o per un incrocio magico di campi magnetici, diventano giuste. A scuola, in qualsiasi scuola, ti insegnano ad evitare o ad azzerare al massimo gli errori, non a caso ti assegnano un voto in base al numero di inesattezze. Io credo che l’eccellenza si raggiunga adeguando le regole al contesto o addirittura superandole sistematicamente. Questo segna la diversità tra un compito corretto e un’intuizione geniale.

4) E di superamenti delle regole, nel mondo pubblicitario, negli ultimi anni, ce ne sono stati parecchi. Ad esempio, la nascita di Zooppa, una ricetta in contrasto con l’idea classica di una ADV agency…

Per me Zooppa è la negazione del crowdsourcing, nel quale io credo. Come credo nella rete costruttrice di relazioni. Credo nel team work, che non necessariamente deve essere costituito solo da una prossimità fisica, ma può realizzarsi in remoto. Zooppa è solo una banalizzazione nei processi del lavoro creativo: il risultato che ha portato è stato solamente un ulteriore e clamoroso abbassamento dei prezzi e della qualità della comunicazione. A me, consulente con una reputazione ed una storia di successo, Zooppa non ha cambiato la vita, né l’ha rovinata. Ma non ha certo aiutato i giovani creativi che si stanno affacciando al mercato. Li ha solo impoveriti e banalizzati.

5) Sembra però che molte delle nostre PMI si siano affidate a Zooppa con entusiasmo…

E infatti si sono visti i risultati. Ripeto il crowdsourcing non è un’attività industriale regolabile con un server: il catalizzatore di lavoro di gruppo deve elevare gli standard qualitativi, non abbatterli. E per qualità io intendo sia quella delle idee, sia quella del denaro investito: con quel sistema di logistica chiamato Zooppa compri una cosa che costa poco, e rischia di valere ancora meno. Non bisogna necessariamente investire tanto: bisogna investire quello che si ha a disposizione, nel modo più produttivo. Chi sa fare business compra al giusto prezzo una cosa di valore. Non ad un prezzo bassissimo una cosa che vale nulla. Nelle PMI italiane ho incontrato imprenditori fortissimi sul loro prodotto che, consapevoli di una carenza culturale in ambito marketing e comunicazione, si sono affidati a consulenti con ottimi risultati. È una questione di cultura, non di potenza delle risorse. Visto che nel marketing ci sono metafore belliche, te ne propongo una classica sul tema: se sei gli Stati Uniti, sei una delle più grandi potenze militari; ma se sei un Vietcong, appartieni ad un gruppo di sfigati che, senza denaro e guidati da un ideale, quella grande potenza l’ha bloccata. In conclusione, nella guerra come nella comunicazione, non ha ragione chi ha più soldi. Ha ragione chi ha ragione, chi prende la decisione giusta e vince. O chi prende una decisione sbagliata e folle, che diventa giusta in un quel  certo contesto, e vince. È il bello di questo mestiere: il denaro non basta ad avere successo. Con le idee si fanno i soldi. Non è dato il contrario.

6) La moglie del protagonista di Cosmopolis, in un fugace incontro, gli chiede, “tu hai bisogno di infiammarti, non è vero? Questo è il tuo elemento”. Questo dovrebbe fare la comunicazione oggi? infiammare, informare, far vedere?

Infiammare mi piace. Non credo a quelli che dicono che si nasce incendiari e si muore pompieri. Io penso che il piromane non abbia età. Penso a tutte quelle attività unconventional che costano pochissimo e che hanno portato notorietà anche ad aziende microscopiche. Penso che fare un annuncio che si faccia ricordare emotivamente, avrà più successo di un’attività con budget illimitato ma con un messaggio invisibile. La strategia va adattata alle risorse. Ma l’obiettivo è sempre quello di costruire mitologia, facendo vedere i bagliori delle fiamme della tua marca a chilometri di distanza…

7) “Quella era l’eloquenza di alfabeti e sistemi numerici, ora pienamente realizzata in forma elettronica, nel sistema binario del mondo, l’imperativo digitale che definiva ogni respiro dei miliardi di esseri viventi del pianeta”, scrive DeLillo. L’imperativo digitale ci comanda ancora, senza moralismi: che risorsa è il web?

Il web è una straordinaria opportunità, soprattutto per le imprese, anzi quasi più per le imprese che per i creativi ormai, perché le aziende oggi possono produrre strumenti editoriali proprietari a basso costo di gestione che aiutino a diffondere conoscenza, valori e reputazione di una marca. Ed è un grande vantaggio rispetto a dieci, quindici anni fa,  quando tutto ruotava attorno alla televisione come centro del mondo. È chiaro che anche qui ci vuole cultura, conoscenza e strategia. È consolante, perché questo tipo di cultura non fa parte degli strumenti di gestione aziendale: la produzione di contenuti è campo operativo dei creativi. Non dei manager o degli amministratori. Non della logistica né della produzione seriale. Produrre idee, produrre bellezza, produrre emozione non è attività industriale. Per fortuna di chi come noi fa un lavoro creativo.

8) Esiste sufficiente competenza nell’utilizzo dei Social?

Persino chi dice di conoscere i Social, non conosce i Social. Vedo un proliferare di seminari, master, corsi sui Social Network, la nascita della figura professionale del Social Media Manager. Il problema è che mai come in questo campo ti insegnano quello che è stato fatto ieri. Nessuno è in grado di sistematizzare la grammatica su cosa si farà domani. Addirittura penso che, anche in questo ambito, chi disegnerà il web ed i social di domani sarà chi conosce poco la grammatica esistente, chi saprà differenziarsi dal linguaggio comune. Il web è una realtà che si modifica come la plastilina. Per questo si privilegerà chi avrà capacità di visione, chi saprà appunto 

9) “Dall’uomo macchina all’uomo pixel”, dice sempre DeLillo,conosciamo più il web di noi stessi…

Io però conosco solo aziende che fatturano soldi veri: Google oggi è la più grande concessionaria di pubblicità del mondo, cosa davvero molto poco virtuale, Facebook è stato quotato in borsa a cifre imbarazzanti. Sono aziende vere che utilizzano il web e fanno soldi veri: non vedo gap tra reale e virtuale. Sono strumenti digitali che si piegano a strategie commerciali. Siamo dentro ad una concretissima civiltà occidentale, industrializzata, tecnoperformante, di chiara scuola anglosassone. Se non è di nostro gradimento, possiamo sempre trasferisci in Tibet. Ma questo è lo scenario che conosco: reale, tosto, competitivo. E lasciatemelo dire, anche in questi tempi di depressioni croniche collettive, molto divertente e stimolante.

10) Cosmopolis ha un protagonista in perenne movimento e un antagonista costretto all’immobilità, due opposti che lottano per cercare qualcosa, una risposta, un luogo, loro stessi, un personal branding. Un valore nella folle smaterializzazione…

Lo stavo dicendo prima: il personal branding è la cosa più materiale che io conosca, perché parla di persone. Noi siamo ancora molto molto concreti. È la tecnologia che cambia, non l’obiettivo della comunicazione, che è sempre una persona fisica o un prodotto di marca. Ma proprio questi tempi smaterializzati e concreti possono offrir il massimo della soddisfazione nella costruzione della mitologia delle persone, e delle marche. Basta non rimpiangersi addosso, pensando ai bei tempi andati. È il Terzo Millennio, bellezza…

Succede sempre tutto in un giorno. Tutto ci ha portato a questo momento.

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