Happy Days. La qualità dell'informazione

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happy_daysIn un nevoso sabato di dicembre quattro amici assistono al debutto teatrale di una loro compagna di liceo. Occasione tre volte felice. Sono felici per il suo successo. Sono felici di vedere come un piccolo teatro di Milano est sopravviva, con un’eccellente scuola di recitazione, tra le spese e lo scarso interesse del nostro paese per la cultura. Sono felici perché è giorni felici. Un’assurdità? Solo una felice coincidenza. In un teatro decentrato si svolge il dramma – in questo caso un adattamento dell’opera di Samuel Beckett – della conversazione. La conversazione è comunicazione, è tutto oggi. O almeno così crediamo. Non posso fare a meno di chiedermi qual è la qualità che garantiamo all’informazione, alle notizie, ai post che ogni giorno generiamo e supportiamo.

I protagonisti del dramma di Beckett sono inattivi, incapaci di raggiungersi fisicamente e linguisticamente, sembrano così lontani dal nostro mondo contemporaneo pervaso dalla comunicazione, dalla possibilità di mettersi in relazione continuamente, ovunque ci si trovi. Non si può rimanere indietro. La presenza è tutto, sui Social, in rete, uno smartphone nella mano sinistra e un biglietto aereo nella destra. I nuovi simboli della libertà per la statua del XXI secolo. La globalizzazione ci ha omologati, l’informazione ci ha sommerso, il diffonderla ci ha reso supporter. Che avesse ragione Marshall McLuhan? “Il medium è il messaggio”, sosteneva già negli anni ’60, spiegando che il diffondere informazione attraverso un mezzo tecnologico genera un bias, il mezzo tecnologico agisce in maniera pervasiva sull’immaginario collettivo al punto da divenire esso stesso il messaggio. In poche parole: Facebook comunica Facebook. Il pericolo dunque è credere di comunicare i propri pensieri, le proprie azioni, i valori della propria azienda, quando invece si sta contribuendo alla diffusione di azioni e valori di altri, nella fattispecie di Zuckerberg.


La Winnie di Beckett parla parla parla, urla, racconta, domanda, richiama il passato, ma il suo è un monologo quasi privo di ascoltatori. Winnie siamo noi. Tutti siamo comunicatori, ma chi è il nostro fruitore? Chi ci ascolta? Dove vanno tutte le nostre parole?

Qui si apre il tema della gerarchizzazione dell’informazione, della qualità, del valore e della veridicità. La quantità di informazioni è talmente spropositata da diventare rumore, le singole parole non vengono decifrate come quando si ascoltano musiche differenti contemporaneamente. Ogni notizia rischia di avere un identico ciclo di vita, dallo shopping della Minetti in centro a Milano alla conferma dell’esistenza del bosone, dallo spread ai soldati morti in Afghanistan: l’encefalogramma è piatto. Il medium si è fatto comunicazione, la valutazione, l’opinione, il pensiero alto sono altrove. Gli dei se ne sono andati, e la verità con essi, ci rimangono solo dati, abbiamo a che fare solo con rappresentazioni fragili e rivedibili. Oggi il pensiero è debole.

Un concetto di debolezza ampio, siamo lontani dall’idea baudeleriana di vivere l’effimero per arrivare alla dimensione spirituale, ci servono altre vie. Nell’effimero ci siamo e ci rimaniamo.

Possedere le informazioni, anche il possederne molte, non garantisce l’evoluzione, sia nel caso del genere umano, sia nel caso di un individuo che di una azienda. Per evolvere è necessario il sapere, e dunque la capacità di trasformare le singole informazioni in un insieme organizzato che acquisti valore proprio attraverso la capacità di attivare un processo di scelta, di valutazione, di connessione delle informazioni stesse; processo che dovrà attribuire diversi gradi di importanza e differenti cicli di vita ai dati per essere contemporaneamente efficace ed efficiente ai fini della conoscenza e del sapere.

Frogmarketing ha fatto proprio questo concetto nel suo manifesto: “Frogmarketing comunica, forma, si sporca le mani, accompagna e sposta il saper fare un po’ più in là. Non ci sono docenti, formatori, coach o luminari, ci sono artigiani del sapere, della conoscenza e della ricerca. Non esiste una conoscenza fine a se stessa. Non esiste sapere per sapere, esiste solo sapere per cambiare e migliorare”.

La smania di comunicare sempre e qualsiasi cosa ha prodotto un ulteriore effetto collaterale, una falsa credenza: che l’ottenere o generare un’informazione sia di per sé un processo gratuito. Il mondo, e in particolare quello dell’editoria, sta marciando a ranghi serrati verso una completa digitalizzazione, e questo è bello e buono, ma, non posso non chiedermi, il giorno in cui spariranno i quotidiani cartacei chi pagherà per avere i contenuti per il web ovvero potrà il web reperire contenuti a bassissimo costo o, meglio ancora, aggratis?

È un modello di business ancora non chiaro. Staremo a vedere.

Alla fine, anche le notizie di domani ci diranno che sarà un giorno felice.