[7-eleven] Nella puntata precedente di “Se Internet ha vinto, Facebook è morto e i social media stanno male”:
Il web poggia le sue origini e forse gran parte dei suoi successi sulla coda lunga. Sulle infinite nicchie di mercato. Emergere dalla coda oggi significa farsi trovare e saper coltivare bene la propria nicchia.
@12:00 a.m. #internethavinto, la coda lunga e la morte Social delle relazioni deboli
“Quindi lei mi sta dicendo che adesso c’è talmente tanto casino…”.
“Rumore di fondo”.
“Va bene, rumore di fondo; che non sono più strumenti potenti, efficaci?”
“Potenti ed efficaci dipende”.
Episodio 3: e le nostre piccole imprese in tutto questo?
Questo ci porta a riflettere sulla reale utilità dei social per le nostre aziende – anche se loro forse questa riflessione la vivono in modo inconsapevole per ora – e soprattutto per quella schiera di piccole e medie imprese, che, anche grazie a un martellante tentativo di pressing da parte di orde di neo-consulenti e guru della materia, credeva che almeno sul web e/o sui social media avrebbe potuto esprimere se stessa e ottenere dei risultati – commisurati in base al ROI – che per questione di risorse e di budget non sarebbero stati possibili offline. A mio parere, se considerato in termini relativi, il web oggi è ancora il più efficiente dei media per piccole e medie imprese (e qui torniamo a #internethavinto). La capacità di raggiungere un target preciso con questo strumento è espressa alla massima potenza, cosa che su altri media accade molto meno. Come per esempio per i Social dove la necessità di selezione e valutazione di aderenza tra strumento e obiettivo ovvero tra ambiente, messaggio e pubblico, è aumentata.
Inizio a credere che ascolto, conversazione, co-creazione, possano esistere solo in luoghi verticali e tematici contrapposti al generalismo di FB. Andare dove sono i tuoi clienti (prosumer) oggi ha forse un senso solo se ripensiamo alle community come social: luoghi di interesse e di scambio di passioni. Fare ascolto in rete, comprendere le esigenze dei consumatori, intercettare linee di tendenza, trend e comprendere come si orienta il sentiment delle discussioni online è fondamentale, è vero: ma è solo il primo passo, il primo di un lungo cammino che deve portare le aziende ad evolversi ad ascoltare non solo i consumatori ma anche i propri dipendenti, a rimettere le persone al centro dello scambio e della produzione del valore. Chissà forse tra qualche mese avrà un senso parlare di un social Ikea, dove nell’ottica delle “communities of consumption” la gente si scambia idee su come usare la chiave a brugola, o un social dedicato al fai da te (che probabilmente esisterà già)…
I paladini di Facebook e dei social media, dopo averci illuso con la coda lunga e con l’usabilità e la semplicità credo saranno costretti a riconsiderarli per quello che sono sempre stati: strumenti. Sembra di rivedere il ciclo di vita del marketing esperienziale o di quello relazionale. È vero, ai social va riconosciuto di averci insegnato a pensare in modo diverso; a cambiare la nostra visione strategica verso il concetto di engagement e ascolto del cliente; di aver spostato l’asticella – raramente raggiunta – dell’orientamento al cliente, e di aver indicato nuove mete impervie che ci costringono ora nuovamente a ragionare in termini strategici (cosa che non ci riesce bene da parecchio tempo) o, meglio ancora, sistemici. A pensare come ottenere la brand awareness dei nostri clienti; a come differenziare per trovare nuove nicchie (in questo caso d’informazione accessibile); a come modificare i nostri business model affinché si “rimettano in discussione mercati già saturi e pensati per gente e valori di trenta anni fa” per “creare (per essere coerenti con il 2.0 io direi co-creare) un prodotto che cambi davvero la vita della gente”.
Solo attivando nuovamente il pensiero strategico e progettando in termini sistemici saremo in grado di attrarre numeri significativi che fino a 3 o 4 anni fa sembravano facilmente raggiungibili. Oggi, chi ha un grande seguito e funge – non sempre nel modo migliore – da opinion leader sui Social o se lo è costruito grazie allo status di first mover (non me ne vogliano molti dei colleghi che seguo e che reputo davvero interessanti, ma sicuramente qualcun altro bravo la fuori c’è e oggi stenta ad emergere per le sue competenze) o sono personaggi famosi che il brand se lo sono costruito con altri mezzi di comunicazione e che in rete raggiungono facilmente lo stesso grado di notorietà sebbene non sempre ne guadagnino in credibilità…
Uno strumento non può essere mai la soluzione. Se Facebook è uno strumento allora alle imprese ammaliate dal sogno della panacea chiamata Facebook non rimane che rassegnarsi e intraprendere la sempre troppo posticipata strada della mentalità manageriale. Come dice Paolo Ratto nel suo post:
È impensabile oggi che un’azienda possa fare business su Facebook senza investire piuttosto corposamente in questo tipo di attività. Il social “fai da te” che fino a “ieri” poteva rappresentare una bella sfida a basso costo, nel caso di piccole realtà con una buona consapevolezza digitale, è “oggi” reso inapplicabile da tutte le dinamiche analizzate. In poche parole, se prima il risultato dipendeva soprattutto dalla capacità di fuoriuscire dal mucchio delle aziende vecchio stampo, presentandosi con un volto più “umano” ai propri clienti, oggi la conditio sine qua non è rappresentata dall’investimento, dall’organizzazione, dalla programmazione.
Non basta più insomma essere se stessi e raccontarsi differenziandosi dalla concorrenza. Anche lo storytelling ha già cessato di essere LA via per distinguersi. Come tutti gli strumenti abusati ha finito per esaurire la sua carica emotiva di “moda” del momento, almeno nella versione che conosciamo. Non basta più l’originalità delle nostre campagne di comunicazione e un buon business model rivisto sulle attività di famiglia. Non basta più appropriarsi di valori, anche molto intimi, per costruire un’identità di marca. Per ottenere l’attenzione dei nostri clienti sui social media bisogna andare oltre e ripensare tutto da zero. Si può anche provare la carta dell’unconventional per spararsi una cartuccia di creatività che ci dia le luci della ribalta per un periodo sufficiente ad evitare di tornare ai mezzi tradizionali e costosi dell’offline, ma si tratta di azioni one-shot.
Se prima la “bacchetta magica” poteva essere rappresentata dall’ingegnosità nel proporre contenuti che sorprendessero gli utenti generando viralità ed eventualmente fidelizzazione, oggi è necessario oliare tutti i meccanismi con (almeno) una punta di “content advertising” che aiuti ad emergere dalla massa (a livello di reach) e rafforzi le possibilità di engagement e quindi di considerazione dei propri contenuti presenti e futuri da parte dell’algoritmo stesso.
La crescita è ormai logaritmica, non più esponenziale.
Ieri era più facile. Prima bastava esserci. Poi bastava essere bravi e diversi. Oggi non basta più. Bisogna necessariamente e costantemente uscire dagli schemi. Pensare diverso. Agire diverso. Andare contro, a volte non essere political correct, per avere risultati.
Ma tutto questo assomiglia sempre di più a quanto accade e accadeva nell’offline. Si torna a ragionare in modo generalista. Serve lo scoop! I Social stanno diventando Mass Media non tanto in qualità di strumento – dove la bidirezionalità è ancora possibile – quanto in termini di scarsità d’attenzione da parte dell’audience. Anche se concettualmente diverso, l’effetto è lo stesso. Tutto sembra ricondurre alle vecchie PR quando contava più la quantità delle relazioni della loro qualità. Quanti amici porti (diceva il gestore della discoteca)? Una forma di #celolunghismo che spesso sentiamo essere l’unico metro di misura di un profilo twitter o di un gruppo FB anche a prezzo di comprarsi i follower…
Come sostiene Stefano Besana nel suo recente post:
Il numero di follower o di fan su Facebook, come su qualunque altra piattaforma, è solo una delle metriche che mostrano un ingaggio significativo e ben poco ci dicono dell’efficacia e di quanto quella pagina stia funzionando o meno nella creazione di un vero coinvolgimento nei confronti degli utenti. Il numero dei follower resta simile allo share televisivo, alla tiratura di un giornale: una modalità di ragionare ancora vecchio stile ancora con logiche classiche di pubblicità one 2 many.
Appare oggi in tutta evidenza il salto logico che è stato fatto, attribuendo connotati di valore ad uno strumento che di per se è neutro rispetto alle scale di valore. Anzi, proprio l’auspicata diffusione del mezzo ha fatto si che questo perdesse la sua iniziale diversità! La conferma delle mie impressioni arriva direttamente dalla tv che Facebook e Google – addirittura due volte – hanno utilizzato per promuoversi per la prima volta nella storia.
[7-eleven] Nella prossima puntata di “Se Internet ha vinto, Facebook è morto e i social media stanno male”:
I sintomi sono quelli di un mercato saturo e fuori strada. Abbiamo bisogno di tornare alle persone, all’offline fisico e vero fatto di relazioni umane, concrete e di condivisione di valori reali
@03:00 p.m. #internethavinto? Abbiamo bisogno di tornare alle persone e ai valori