Primo Tempo
Qualche giorno fa, fa un paio (1 e 2) di tweet di Matteo Fini mi saltano agli occhi: si parla di giovani e di lavoro gratis. Seguendo quei tweet mi trovo a leggere un post di Cristina Maccarrone e mi metto a pensare. Anche io ho un blog con vari autori, ottimi post, tanti visitatori e non pago chi scrive. Perché? Il blog non fa utili, gli autori hanno dallo scrivere dei ritorni in termini di immagine e comunque offre una grande opportunità di mettersi in gioco con ogni post.
Fino a qui tutto vero. Però le parole di Cristina mi rimbombavano: “Perché le corse al ribasso ci rovinano tutti. Perché dire, tanto gira il mio nome e collaborare gratis per chiunque poi ti chieda un lavoro quindi scadenze, precisione, tempo ecc… ci svilisce (scusate ma mi sembra il verbo più adatto) tutti. Perché, al giorno d’oggi, con l’ottava meraviglia che è il Web, sinceramente se vuoi fare qualcosa gratis la fai per te. Ti apri un blog e se sei bravo, la tua firma gira“.
Io che dico largo ai giovani mi sentivo un senso di colpa, magari non giustificato né compreso visto le parole e le teorie di Anderson sull’economia della reputazione.
Secondo Tempo
Un paio di settimane fa, Vicenza ha rischiato la seconda alluvione in due anni. Bel record! Le informazioni non le ho certo prese da Repubblica come un tweet mi faceva notare; le ho apprese da Facebook e Twitter. In particolare, ho apprezzato gli aggiornamenti su Facebook del sindaco e dell’assessore e poi le foto di amici che mostravano l’evolversi della situazione. Esattamente come l’anno scorso i giornalisti sono stati i cittadini. Niente di nuovo lo raccontavo io stesso nel 2009 in un mio contributo su un libro.
A questo punto, però mi è tornato alla mente il post di cui sopra. Dovrei pagare i cittadini comuni che con le loro foto hanno fatto informazione? No. Dovrei pagare i blogger per i loro post? No. È giusto lavorare gratis? No.
Credo sia necessario capire alcune cose:
- internet è una piattaforma direputazione che offre ad ognuno di noi la possibilità di emergere e ampliare il proprio dominio di conoscenze. Internet si fonda sulla condivisione. Non sempre e non per forza gratuita ma senza quella imploderebbe. Blog e social media rappresentano per centinaia di blogger una possibilità unica di uscire dall’anonimato. Detto questo credo che ognuno di noi debba poi decidere a chi e come offrire il proprio Lavoro. Se è impensabile che una TV o una Radio o un Giornale non paghino (visto il fine commerciale) trovo la questione differente per i blog o altri spazi che non hanno nessun scopo commerciale. Anzi essi offrono ai giovani una palestra – non pagata è vero – ma pur sempre utile e importante.
- il giornalismo deve ritornare ad essere quello mitico raccontato da Insider – Dietro la verità o quello romantico di Redford in Qualcosa di personale. Solo così – facendo inchiesta – il giornalista e i giornali possono emergere da un confuso e tumultuoso flusso di notizie. In poche parole, sporcandosi le mani con le notizie e non solamente commentandole.
Conclusioni
Su 4Marketing non parliamo tuttavia né di meteo né di giornalismo ma di imprese, comunicazione e marketing: cerchiamo quindi di apprendere una lezione da tutto questo, applicabile al mondo delle imprese e dei consulenti.
Le domande che in parallelo mi sono sorte sono queste: quando un’azienda ha necessità di investire dei soldi in un consulente e quando invece le informazioni che può dare un consulente sono assimilabili a quelle disponibili su un blog qualsiasi? Oppure quando un consulente porta del valore aggiunto e quando invece diventa un mero costo?
Credo che il giornalista così come il consulente abbiano in questo mondo sempre meno lineare vita difficile. L’aumento dei mezzi di comunicazione costringono il giornalista e il consulente a ritornare sul campo di guerra e a rimettersi in gioco per dare quel valore in più all’azienda. Le notizie standard o da tavolo così come le soluzioni standard sono facilmente accessibili. Bisogna scendere dal piedistallo.
Abbiamo bisogno di consulenti che sappiano usare le teorie non viverci dentro. Consulenti pronti a sperimentare. Non c’entra la passione o l’emozione serve permeabilità, ascolto, empatia e voglia di: sporcarsi le mani, innovare con le aziende, vivere e promuovere una cultura dell’errore.
Se siete un’azienda e dovete scegliere e lavorare con un consulente:
- diffidate delle soluzioni pre-confezionate;
- chiedete numeri, analisi, statistiche ma anche applicazioni;
- guardate con sospetto alla media. Tanto più siete una PMI tanto più soluzioni medie non possono che portare alla mediocrità silenziosa e inutile;
- fidatevi del consulente. Fate sì che entri in azienda. Che la viva, la mangi, la tocchi, la provi, la faccia sua e si faccia fare suo dalla vostra creatura.
- esigete che peschi dalla coda lunga delle idee e delle soluzioni. Quella che si può ottenere solo respirando e cercando il problema, vivendolo, facendolo proprio e non applicando belle teorie.
Servono, quindi, consulenti e giornalisti con uno spirito più da esploratore che da osservatore, più da pirata che da controllore, più da artigiano che da contabile: sono quelli che portano valore e meritano di essere pagati.
Concludo con una riflessione sulla reputazione: la reputazione è una cosa stupenda ed utile se poi esiste un mondo dove spenderla. Io più che del lavoro gratis di blogger o stagista mi preoccuperei di capire se esiste il mondo dove spendere la mia reputazione. E in Italia ho idea che sia tutto da creare.