Risponde Federico Lovaria, Group marketing training manager di Luxottica
1) I beni di lusso vivono per definizione sulla forza e l’identità del brand, quale quindi oggi il suo ruolo rispetto ad altri strumenti del marketing?
Il caso di Luxottica è in realtà un po’ particolare, dal momento che si tratta di una azienda di accessori di lusso ma accessibili; il prodotto che noi facciamo, al di là delle licenze di grandi marchi che abbiamo, è in realtà più vicino ai prodotti di consumo generalizzato, pensiamo al caso di Ray-Ban con venticinque milioni di occhiali venduti all’anno o Prada con tre milioni di pezzi venduti: la strategia dell’azienda dunque è stata quella di unire un forte posizionamento di marca a tecniche di marketing operativo a supporto delle vendite, molto simili, queste ultime, a quanto avviene per i beni di largo consumo.
2) Puoi spiegare meglio le differenze tra la vendita dei beni di lusso e quelli di largo consumo?
La forza del marketing consiste nel generare appeal per prodotti che intrinsecamente non lo posseggono o lo posseggono in maniera molto limitata, e nel creare differenze di posizionamento rispetto a prodotti concorrenti, quando le differenze stesse sono modeste; al contrario, i beni di lusso possiedono di per se un forte appeal e le differenze rispetto ai concorrenti sono date dalle cifre stilistiche delle varie case, qui dunque sarà importante il brand management per sostenere e giustificare il prezzo, creando desiderio per oggetti che non sono di prima necessità e in secondo luogo per trasferire i valori di marca anche a oggetti differenti dal core business iniziale.
3) Ma con il dilagare di oggetti firmati ma accessibili, come è possibile sostenere l’esclusività del brand a livello strategico?
Io qui citerei un caso emblematico: la maison Vuitton, che, se da un lato, negli ultimi anni, ha spinto fortissimamente sulla vendita di linee di prodotto base, dall’altro ha lavorato sul brand mantenendo sempre elevata la percezione di esclusività, di lusso e di prodotto “per pochi” con azioni mirate, come ad esempio le linee esclusive disponibili in poche boutiques nel mondo o le collaborazioni artistiche. Vorrei anche citare il collegamento sempre più di moda con l’arte, iniziato già molti anni fa da Prada e di cui è un esempio oggi la mostra promossa da Dior, “Lady Dior as seen by” alla Triennale di Milano.
4) Mi sembra di poter quindi dire che le tecniche di marketing applicate a beni di largo consumo possano essere utilmente adattate a beni di lusso, ma non è vero il contrario?
Si effettivamente è così, non è un caso che il nuovo CEO di Vuitton venga da Danone, mentre non ricordo casi di manager del lusso passati al largo consumo, questo perché le competenze che si sviluppano gestendo prodotti di largo consumo sono esportabili anche alle linee base del lusso, mentre l’effettiva creazione e gestione dei brand dei beni di lusso ha delle dinamiche e richiede competenze specifiche, e non prevede, per esempio, l’orientamento all’innovazione continua, alle nuove tecnologie, alla gestione forte della leva dello sconto, direi che si tratta di una componente di conservazione che solo questo settore ha.
5) Per esempio?
Un esempio importante è la case history di Bottega Veneta che ha fatto del “non apparire” l’elemento di successo della propria comunicazione o ancora Chanel che da diversi anni aumenta costantemente il prezzo al pubblico dei proprio prodotti proprio per sostenere il concetto di prodotto aspirazionale.
6) Tornando a Luxottica, in questi ultimi anni è cambiato l’approccio di marketing?
Di sicuro negli ultimi anni c’è stata un’importante evoluzione anche se l’azienda rimane a forte impronta commerciale, la tattica è stata quella di sostenere il posizionamento primario dei brand ribaltando sull’occhiale – che insieme al profumo è nella quasi totalità dei casi la porta di accesso attraverso la quale il consumatore approccia il brand stesso – il portato valoriale della maison, non mancando di sottolineare l’attenzione alla qualità propria dell’azienda. Si tratta comunque di un marketing operativo ad esclusivo servizio delle vendite, in particolare il progetto di LuxAccademy, che ho seguito personalmente, è un esempio di marketing orientato ai nostri clienti, i rivenditori, e non solo al cliente finale. LuxAccademy è un programma di formazione dei rivenditori che si propone di dare loro conoscenze di pratiche di marketing che li aiutino a vendere al meglio i nostri prodotti.
7) Un’ultima domanda su un vostro house brand, ci parli del caso Ray-Ban?
Ray-Ban è senza dubbio un caso di scuola, un marchio che ha raggiunto livelli di fatturato elevatissimi in tutto il mondo, è la marca per eccellenza e quella che internamente all’azienda ha la struttura più complessa e articolata anche perché, essendo un house brand, possiamo agire direttamente tutte le leve di marketing, quindi si va dal prodotto alla comunicazione ala distribuzione al brand management. Per quanto riguarda il prodotto è stato fatto un lavoro capillare di recupero dei modelli storici, quasi un’azione precorritrice della tendenza vintage, reinterpretati con le tecnologie attuali, unito ad una meditata strategia di pricing, ad una corretta comunicazione che ha valorizzato sia il portato storico del marchio attraverso la testimonianza di tutti i big che negli anni hanno indossato Ray-Ban sia l’attualità del prodotto attraverso campagne di comunicazione la cui cifra è appunto l’attualità. Non è mancata naturalmente la ricerca di nuovi materiali, quali le montature al titanio, che ha sottolineato la volontà di upgrading e updating continuo del brand. In questo modo è stato possibile individuare diversi target di consumatori e differenziare le attività di marketing in modo da rendere più efficace il messaggio in relazione al target e alla tipologia di prodotto. E tutto ciò all’insegna di “Never Hide”.