È sempre interessante mischiare le carte. Per esempio usare categorie di management per “leggere” uno degli eventi che hanno sconvolto la nostra storia. È semplice, basta mettere vicine due parole che di solito non lo sono: Gesù/manager.

È un corto circuito. A seconda del vostro rapporto con Gesù potrebbe scattare l’indignazione o un sorriso ironico e sarcastico. Io, che amo questo genere di paradossi, sono curioso di ascoltare cosa mi raccontano.

“Gesù come manager” è il titolo di un libro pubblicato molti anni fa da Mondadori. Tra i principi di buon management di cui parla Briner nel libro, io vorrei soffermarmi su uno: la scelta dei collaboratori.

I dodici apostoli (Giuda suicidatosi è già stato sostituito), dopo la morte del loro maestro, hanno cominciato a diffonderne il messaggio camminando in lungo e in largo senza sosta. Parliamo di fatica, polvere e fame. Predicano davanti a folle che ritenevano le loro parole follia o semplicemente incomprensibili; tant’è che una volta Pietro fu lasciato a parlare da solo nella piazza vuota.

Ma con il senno di poi sappiamo che hanno “vinto” loro. L’annuncio della Buona Novella è penetrato in molte classi sociali nonostante le persecuzioni, gli arresti e lo stare nascosti per molto tempo. Cercando di rivivere in modo empatico quei momenti mi chiedo, quale energia, passione e totale dedizione riuscivano a comunicare?

“Semplicemente” avevano attinto alla fonte del carisma. Avevano camminato, sentito la voce e vissuto con Gesù e lui, a parte l’ indubbio fascino, era riuscito a scegliere i collaboratori migliori per far si che le sue parole continuassero ad avere spessore anche dopo di lui e che la sua visione del mondo diventasse una delle più forti (non mi riferisco al contesto economico).

Sergio Quinzio, “teologo” cristiano, un giorno ha affermato che:

“La Fede è un continuo sforzo di memoria per risalire attraverso i secoli alla fonte originaria”.

Come se, per chi partecipa della vita cattolica, dovesse risalire attraverso il viso del sacerdote che legge il Vangelo fino alla voce di Gesù, al suo volto e alla sua forza. In fondo la Santa Messa è questo: uno sforzo che alcune volte dà i suoi frutti, altre va a vuoto.

Steve Jobs è morto. A me interessa poco della Apple azienda, interessa più che altro la personalità e l’essere visionari. Purtroppo entrambi sono doni non trasmissibili, ma ai collaboratori, in questo caso, non si chiede di essere SJ bensì di proseguire la sua filosofia altrimenti a breve la mela potrebbe essere senza buccia, cioè senza la magia che il fondatore era capace di cospargervi sopra.

Ma anche in questo caso la macchina è bene avviata: parabole dalle quali attingere, aforismi del maestro, testi sacri che potrebbero garantire altri miracoli (elettronici) per alcuni anni e soprattutto, bravi collaboratori che seguiranno la via del maestro diffondendone il messaggio.

Sia per Gesù che per SJ – e per ogni azienda che si trova con un titolare di questo tipo – è la medesima questione: la non trasmissibilità del carisma. L’unica strada da percorrere sembra essere la beatificazione del fondatore, perché il carisma non è trasmissibile, ma è possibile tenerne fresca la memoria con la ripetizione continua del gesto (la Santa Messa) oppure con l’acquisto dell’ultimo miracolo (elettronico).

È davvero l’unica strada?