facebook Want Button

Mi permetto di prendere spunto dall’interessante articolo di Chiara Pierani della settimana scorsa su come Facebook, lanciando Facebook Exchange, stia cercando disperatamente di tradurre il traffico degli utenti in fatturato. Il dilemma di Facebook è ormai noto da anni: come monetizzare il miliardo di utenti che quotidianamente da ogni parte del mondo scambiano messaggi, commentano post e news, condividono contenuti. L’advertising è stato sicuramente sviluppato, come anche i “facebook credits” per acquisti di giochi, musica e vari servizi sulla piattaforma, ma il problema persiste e si è fatto ancor piu’ delicato da quando la quotazione in borsa ha messo a nudo la sua sopravvalutazione. La necessità di dare redditività al business ormai non è piu’ procrastinabile e questo era ben chiaro l’anno scorso quando la stima del valore di Facebook toccava secondo Goldman Sachs i 50 Miliardi di dollari, mentre i ricavi si attestavano miseramente a 3,17 Miliardi di dollari a fine anno. Oggi, dopo quasi 6 mesi di quotazione al Nasdaq, il prezzo delle azioni si è ridotto dai 38$ dell’IPO a poco piu’ della metà, toccando i minimi fino a 17.7$ nel mese di Settembre.

Nel mio articolo di qualche mese fa avevo già prefigurato che qualcosa doveva per forza cambiare nel modello di business in quanto le contraddizioni esistenti non consentono di esprimere appieno le potenzialità di un colosso da 1 miliardo di utenti. A mio parere la spiegazione di questa difficoltà sta esattamente nel post di Chiara Pierani.

Lo strumento del Real Time Bidding è sicuramente interessante per gli inserzionisti in quanto permette di targetizzare ancora meglio il proprio messaggio pubblicitario. Essendo uno strumento flessibile consente di modulare il budget a disposizione e gestirlo in maniera piu’ efficiente rispetto all’acquisto classico di uno spazio predefinito su un sito predefinito. Questo è corretto e non ha alcuna controindicazione, ma non risolve il grande dilemma di Facebook perchè poggia sull’assunto che piu’ vedo un oggetto piu’ saro’ propenso ad acquistarlo. Ora, non che non possa essere vero in assoluto per un chewing gum, ma immaginiamo un bene diverso: un bene di lusso o un immobile, un servizio di igiene dentale, una vacanza, ecc.. Posso venire bombardato da messaggi del genere ma se non li vedo nel momento giusto la percentuale di acquisto sarà sicuramente inferiore alle aspettative. Senza considerare che uno stesso stimolo ripetuto nel tempo, la mente lo tende ad ignorare per il principio della scarsità dell’attenzione.

Piramide processo d'acquisto

Con questo non voglio dire che il Real Time Bidding non sia efficace, ma che se applicato alla pubblicità tabellare non arriverà ad esprimere in pieno il potenziale. I cookies infatti non distinguono clienti che sono in fasi diverse del processo di acquisto (da quella di conoscenza del prodotto, all’acquisto vero e proprio) quindi la funzione che si troverà a svolgere non sarà necessariamente quella di concludere la vendita, ma piuttosto di informare e suscitare interesse, appeal, per il prodotto. In generale è sicuramente positivo perchè genera awareness, ma non è efficiente come altri tipi di advertising. Cosa rende unico ed efficace il motore di ricerca, in questo senso? L’azione attiva di ricerca fatta dall’utente, che ORA è interessato a quel prodotto, fra 10 minuti, puo’ aver interesse per ben altro o aver già acquistato. Per questo i cookies sono eccellenti se applicati ai motori di ricerca (non a caso Google spinge da anni Chrome), ma non allo stesso modo per il display advertising.

Facebook sta tentando da anni di scalare la piramide del processo di acquisto per arrivare ad avvicinarsi al momento in cui il cliente striscia la carta di credito, ma la sua funzione principale è sempre stata di informare, coinvolgere e costruire un dialogo con gli utenti. Il suo modello di business è vicino al display advertising e per questo il suo valore è stimato per il numero di utenti, non per il numero di acquisti che l’advertising sulla sua piattaforma comporta. Per incrementare il business o sceglie una propria strada in linea con la sua natura o è destinato ad inseguire modelli di business non efficienti perchè ritagliati sulle caratteristiche di altre piattaforme digitali. Piu’ che un tasto “want”, che ha le stesse identiche caratteristiche del “like”, è aspirazionale, perchè non provare la strada del “own”? Quanto sarebbe interessante condividere l’acquisto con la propria rete sociale?

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