Tra le diverse opportunità offerte dal web, una delle più interessanti è sicuramente la disintermediazione. Intere catene del valore, dei settori più diversi, si stanno riconfigurando spinte dalla concorrenza globale: l’obiettivo è connettere direttamente, attraverso piattaforme di rete, domanda e offerta, clienti e fornitori, bisogni e possibili soluzioni.
Lo stesso fenomeno twitter è disintermediazione nell’ambito dell’informazione peer to peer.
In un quadro macro-economico che non permette più sprechi e inefficienze, non è più taboo bypassare i livelli che non aggiungono valore ma fanno semplicemente un brokeraggio da asimmetria informativa. Aggiro le inefficenze, quando posso, e vado direttamente alla fonte di valore/informazione.
Il mercato e prima di lui la società, infatti, oggi chiedono una decisa specializzazione verticale (saper fare qualcosa che risponda a bisogni concreti e reali) unite alla capacità di proporsi direttamente al cliente/ interlocutore. Non mi serve più “il produttore” e poi “il commerciale”. Mi serve un produttore di valore che sappia rapportarsi agli altri, costruendo relazioni basate sulla fiducia reciproca e non sull’orientamento all’acquisto una-tantum e poi “avanti un altro”.
Come dire: perde di brutto il commercialone anni ’80, tutto dialettica e simpatia; vince in silenzio la signora di campagna che sa fare bene il miele, lo fa col marito da anni, te lo vende a km0, direttamente da casa mentre ti offre un assaggio e ti racconta delle api come fossero delle figlie… o ti fa vedere il suo e-commerce se è più 2.0. Ma non cambia la sostanza.
Analizzando con queste stesse lenti il settore no-profit, alle prese da sempre con una carenza fisiologica di fondi, questa dinamica è ancora più marcata. E’ necessario disintermediare, se vuoi sopravvivere.
Non posso più donare 10 e scoprire che, al netto dei costi commerciali (tipicamente società che utlizzano dialogatori di strada), e di struttura (ufficio, personale, comunicazione), statisticamente ne arrivano a destinazione non più di 3. Se donavo 5 direttamente al destinatario, a chi “fa” il progetto, l’efficacia del mio contributo sarebbe stata ben maggiore. E avrei, dettaglio non da poco, speso la metà: avremmo vinto entrambi.
Da questa consapevolezza sta volgendo al termine la campagna di fund raising “Scosse di fiducia”, una colletta 2.0 a favore del Comune di San Felice sul Panaro, uno dei più colpiti dal recente sisma in Emilia.
Una rete di salvadanai umani, senza alcun livello di intermediazione… se non la propria faccia. Una rete di persone che si sono attivate senza puntare il dito sull’sms da 2 euro, sulla Caritas, sui bonifici da fare al Corriere della Sera. Senza criticare chi sta già facendo, ma focalizzandosi su quello che può fare sfruttando i legami deboli e la reputazione del singolo.
Se volete darci una mano, il progetto è assolutamente open e si conclude venerdì 20 luglio. Accettate la sfida?