Design non significa qualità La maggioranza dei nostri imprenditori, a mio parere, utilizza il termine design in modo improprio. È utilizzato, infatti, per indicare un posizionamento di mercato in termini di qualità e prezzo. “I nostri prodotti sono di design. Si posizionano in una fascia di qualità e di prezzo elevata”. Questa affermazione è figlia di un particolare modo di intendere il design. Il design, secondo questo punto di vista, è il punto di incontro tra arte e tecnica. È l’interfaccia di connessione tra il modo di produzione dei simboli e dei significati, ed il modo in cui quei simboli e significati sono riprodotti. È il modo in cui si crea coerenza tra unicità (percepita) e riproduzione in serie. Questa definizione, come sostiene Flusser in Filosofia del Design, ha il difetto di porre l’accento sulla dimensione artistico-estetica del prodotto. Un prodotto è di design quando non solo assolve alla sua funzione primaria in modo efficiente ed efficace. È di qualità. Ma è esteticamente bello. Questi sono i due aggettivi associati con maggiore frequenza ai prodotti Made in Italy: belli e di qualità. Ma bello, in senso assoluto, non significa nulla, se non è associato ad un soggetto che è sensibile alla bellezza di quella cosa.

Trovo più corretta ed utile la definizione proposta dallo stesso Flusser, che associa il design all’intenzionalità implicita in ogni oggetto. Il design, perciò, è l’intenzione del progettista che lega assieme i diversi componenti di un prodotto e, aggiungo, di un’impresa dandogli una specifica configurazione. Il fatto che i prodotti incorporino un’intenzione, li rende soggetti attivi nella società. Elementi su cui si basa ed è costruita la nostra cultura.

I primi computer dell’Apple incorporavano una specifica intenzionalità. La volontà di trasformare il computer in un prodotto di massa. Larga parte delle innovazioni introdotte dalla Apple avevano lo scopo di semplificare al massimo l’uso del computer per l’utente finale. Ma una tale intenzione incorpora anche una specifica visione di società. Più computer in ogni casa, com’era nella visione originale di Steve Jobs, implica, ad esempio, un diverso modo di configurare la strumentazione che tipicamente utilizziamo in casa. Il computer che diventa piattaforma di intrattenimento. Il computer che diventa assistente in cucina. Quindi il design non definisce solo un modo di configurare un prodotto, ma anche il modo in cui quel prodotto si interfaccia con il mondo esterno: gli altri oggetti e il modo di vivere delle persone che interagiscono, combinano ed integrano quegli oggetti nella quotidianità. La progettazione di un punto luce in una cucina deve tenere conto dello specifico modo di vivere la stessa da parte del cosiddetto cliente target.

Perché dico questo? Perché troppo spesso sento i nostri imprenditori riferirsi ad Ikea come ad un’impresa che non fa design. È vero il contrario. Ikea ha costruito il proprio business su un particolare modo di intendere il mondo e vivere la casa. Lo stile del prodotto è minimalista. Quindi, è compatibile con uno specifico sistema di luci, colori ed accessori. È costruito per una consumatore che ricerca non solo il prezzo, ma che abbia voglia di divenire attore nel processo produttivo. Questo si riflette in una ricerca quasi spasmodica di soluzioni modulari che siano, allo stesso tempo, facili da montare e trasportabili in una normale auto. Si rivolge alle famiglie (svedesi). Da qui la grande attenzione nei confronti dei bambini – sia in termine di prodotto, ma anche design del punto vendita – e nei confronti della cucina, con la vendita di prodotti alimentari che si riconducono alla tradizione svedese. Il prezzo e la qualità sono solo due componenti del sistema Ikea. Ikea è definito ed alimenta un specifico modo di intendere la vita. Quanti dei nostri imprenditori che dichiarano di fare design attribuiscono ai loro oggetti un potere costitutivo del contesto sociale o semplicemente si limitano a definire i propri prodotti all’interno di un sistema di valori esistente?