Ormai da diversi anni il nostro taste di consumatori si fa solleticare da una piccola ma importante scritta che compare, per legge!, sui prodotti che quotidianamente ci vengono proposti. È il mitico “Made in Italy” che, come “Made in China” o “Made in Sweden”, testimonia non solo il Paese di produzione del bene ma anche una serie di caratteristiche intrinseche del bene stesso. Il “Made in Italy” è, infatti, la promessa di qualità e originalità di un bene che è il frutto della creatività italiana; non solo di una produzione effettuata in Italia. Niente di rivoluzionario ma perché non sviluppare questo overlap?
Qualcuno ci ha effettivamente pensato e non solo, ne ha fatto un’attività! Si chiama “brain IN italy”, e chi dal frullar di un’idea è passato ai fatti è Franco Barin che abbiamo intervistato per [4]marketing.
“Buongiorno Italia col caffè ristretto/Le calze nuove nel primo cassetto/Con la bandiera in tintoria/E una 600 giù in carrozzeria” cantava qualcuno tempo fa, e in quattro strofe, tre prodotti simbolo del “Made in Italy”, come si può valorizzare la creatività italiana?
Trovo che sia giusto, opportuno ed economicamente rilevante tutelare, oltre all’origine e alla provenienza dei prodotti, anche l’origine e la provenienza delle idee e delle tecnologie. In una parola, della creatività. Per fare questo ritengo sia necessario un approccio di sistema Paese in grado di generare nuovo valore, e non particolarismi che si traducono in localismi. La sindrome MINBY, made in my backyard, va evitata. Non è quello che ci richiede il mondo. Non è più il modo di presentarsi al mondo! Le idee e la creatività in quanto prodotto non solo del singolo ma anche dell’ambiente e della storia in cui il medesimo è immerso, si configurano come elementi la cui provenienza geografica è parte stessa del valore. Si pensi al Designed by Apple in California.
Bene, gli ingredienti ci sono, ma quale è la ricetta (e anche con la cucina in Italia andiamo a braccetto)?
Sappiamo che lo stile, la qualità, la ricerca e lo sviluppo, l’ambiente, l’etica, l’innovazione e la storia sono tutte facce di un unico prisma: il sistema produttivo italiano.
Rendere più evidente questo insieme, più “toccabile” questa complessità e unicità, è un sfida che sta diventando sempre più urgente. Da queste considerazioni nasce l’iniziativa brain IN italy, che mira ad attribuire un significato concreto allo spazio della creatività. Cercando di rendere “evidente” ciò che non sempre lo è.
brain IN italy? vuol dire che anche le idee hanno un loro certificato di provenienza?
brain IN italy si propone di evocare e sintetizzare il nostro patrimonio di idee, tecnologie e saperi; consente di trasmettere un messaggio chiaro, trasversale alle filiere, ai settori che compongono il sistema economico. Infine crea valore, in quanto i suoi aspetti aziendalistici mirano ad enfatizzare la componente immateriale del valore di una azienda, verificando la stabile capacità dell’azienda di essere creativa nei suoi processi .
brain IN italy vuole anche dare casa ai giovani cervelli italiani, i quali ritengo possano trovare nel progetto un strumento per palesare al mondo la loro identità. Per una volta una vera e gratuita condivisione di valore.
Il brain è in Italy ma il suo campo d’azione deve essere abroad?
La mia idea è che sia possibile condurre una iniziativa internazionale di identity branding.
Le idee e le tecnologie italiane, la cultura del saper fare che è parte integrante del nostro tessuto culturale complessivo, sono beni intangibili, “immaterie prime” di importanza strategica per il radicamento delle attività economiche in Italia nel lungo periodo. E il coraggio di tutelarle e promuoverle deve passare attraverso la loro valorizzazione nel sistema. Che potrebbe essere molto concreta, e apportare reali benefici al Paese. Anche l’Istat nel suo recente Rapporto annuale 2012 mette in risalto l’importanza dei beni intangibili per l’aumento della produttività.
Ma è una questione di immagine, dobbiamo solo farci belli, o è prevedibile un ritorno economico come è stato per il “Made in Italy” che ha fatto la fortuna di stilisti, mobilieri e case automobilistiche?
Un esempio numerico può chiarire il mio pensiero. Un punto di PIL attuale dell’Italia è pari a circa 16 miliardi di euro. L’Irap, una tassa sbagliata sotto tutti gli aspetti, da sola vale circa 35 miliardi di euro, più di 2 punti di PIL. L’identità italiana, la creatività, il Brain In Italy, il cervello italiano, questa grande ricchezza che il mondo ancora ammira, cerca e compra, può valere secondo voi meno dell’Irap? C’è chi stima che la “bellezza italiana” valga intorno ai 70 miliardi di euro!
Insomma, abbiamo un tesoro in tasca e manco ce ne accorgiamo. Mi sa che il brain spesso rimane spento. Possiamo provare ad accenderlo?
Il vero italian soundinglo dobbiamo creare noi! Stiamo colpevolmente lasciando che qualsiasi vago richiamo all’italianità nel mondo faccia premio a chi lo evoca. Dobbiamo cominciare a dettare le regole di cosa significhi identità e creatività italiane. Dobbiamo fare in modo che chi compra da aziende italiane si senta prima di tutto un convinto “consumatore di italianità”.
È una opportunità che dobbiamo cogliere. E far cogliere ai giovani!
Incuriositi dall’iniziativa brain IN italy? Non vi rimane che visitare il loro sito.