Come l'intelligenza degli oggetti cambierà il marketing?La sveglia inaspettatamente suona 10 minuti prima. Una connessione con il centro informazioni sul traffico le ha trasmesso che oggi c’è più coda e che deve svegliarmi prima.

La macchina del caffè non sa che c’è la coda e il caffè programmato comincia a scendere mentre mi sto già lavando i denti. L’auto l’ho accesa dal bagno col telecomando, ma sto inquinando da 20 minuti perché dopo essermi lavata i denti ho bevuto il caffè e poi mi sono rilavata i denti.

Mi metto in macchina. Nel frattempo la coda non c’è più e io sono arrivata al lavoro con mezz’ora di anticipo. Avrei potuto fare con calma.
Devo ricordarmi di sintonizzare sveglia e caffettiera.

Tutto ha avuto inizio da quando anche gli oggetti si sono potuti connettere in rete e tra loro.
Più tra loro che con noi. E quel giorno è oggi.

Il responsabile? Il protocollo IPv6 che ha permesso una moltiplicazione esponenziale degli IP disponibili.
Ieri c’era il protocollo IPv4 che metteva a disposizione solo qualche miliardo di ip che mano a mano stavano andando esaurendosi. La necessità di un nuovo protocollo era impellente e l’ipv6 era la soluzione. Triliardi di triliardi di triliardi, insomma tanti, ip disponibili. Cosi tanti da bastare non solo per le persone ma anche per gli oggetti. Col nuovo protocollo ogni prodotto uscito dalle fabbriche potrà avere un proprio ip, e diventare un nodo di una rete, connesso ad altri nodi della rete o isolato in reti proprietarie.

Oggi con l’IPv6 gli oggetti hanno la capacità di comunicare e di condividere la stessa rete delle persone. Diventerà interessante esplorare  le interazioni e la socializzazione coi nuovi arrivati in rete.

C’è chi crede che anche gli oggetti abbiano un’anima e chi invece sostiene che dovrebbero avere un profilo su Facebook. O che almeno meritino un’identità digitale univoca.
“Sempre più persone hanno un account su Facebook, dove costruiscono un profilo che le identifica in maniera univoca partendo da nome e cognome”, spiega Andy Hobsbawm, fondatore e CMO di Evrythng. “Se lo stesso venisse fatto con qualsiasi oggetto o prodotto, se a ogni cosa si assegnasse una ID che ne identifichi univocamente la sua rappresentazione digitale, ecco che si aprirebbero prospettive molto interessanti”. 

Quali vantaggi?

Infiniti in un mondo che diventa sempre più smart.

La domotica (peraltro non una novità di oggi!) è solo un pezzetto di questa trasformazione in atto: l’intelligenza degli oggetti può contribuire a ridurre i consumi nel settore dll’energia, segnalare anomalie, essere d’aiuto nel campo dell’healthy monitorando situazioni e pazienti da tenere sotto controllo.
Entro otto anni saranno 50 miliardi i dispositivi agganciati a internet, secondo le previsioni di Cisco: diventeranno strategici per lo sviluppo delle smart city, a partire dalla gestione delle infrastrutture, delle abitazioni e della mobilità.

Già in Italia i singoli esempi sono svariati: i cassonetti dell’immondizia intelligenti del Comune di Duino Arusina e i lampioni del Comune di Nettuno. Nel primo caso, è il contenitore di sensore dotato a comunicare la necessità di procedere con la raccolta e nel secondo il risparmio energetico è affidato alle rilevazioni del lampione stesso. A Nettuno si sta pensando di sfruttare l’illuminazione pubblica anche per controllare il traffico o segnalare i parcheggi liberi. A sfruttare gli smartphone ci ha pensato Venezia, con il progetto Tag my lagoon per l’erogazione di contenuti informativi tramite QR code o tag Nfc. Il consorzio Chierese, invece, sfrutta i tag Rfid per misurare la quantità di rifiuti che entrano nei cassonetti e applicare tariffazioni precise.

Quale risvolto per il marketing?

C’era una volta la Internet of Things tradizionalmente intesa, dove le macchine si collegano alla Rete per fornire informazioni su stesse e si connettono tra loro per svolgere compiti complessi. Nella visione di Hobsbawm questa definizione si allarga virtualmente a ogni oggetto, con immediati vantaggi dal punto di vista del marketing e della comunicazione: “ “Al momento advertising , websites, campagne di comunicazione sono create online lontano dai prodotti che raccontano e che esistono da qualche altra parte nel mondo reale. Ora però è finalmente possibile mettere insieme questi due mondi, stabilire nuove relazioni, creare”. Di fatto creare un nuovo ecosistema commerciale che sarà sì utile, ma forse un tantino affollato.

Niente di nuovo: continueremo a prendere a male parole la lavatrice o a insultare il decoder che non prende il segnale. La differenza è che stavolta loro risponderanno.
Speriamo siano più educati di noi!