“Ceci n’est pas une pipe”, ecco una frase che una volta letta, e vista, risulta indimenticabile. È un jolly, utile per fare colpo, stile citazione colta, ma anche per aprire una riflessione seria sull’illusione. René Magritte, il grande pittore surrealista, ne ha fatto una sorta di manifesto del suo pensiero e della sua ricerca artistica: tutto parte e tutto arriva a quella pipa, alla sua rappresentazione e alla sua essenza fisica. È un gioco, ma come tutti i giochi non è privo di scopo. Sollecita una domanda: “Se non è una pipa, allora di cosa si tratta?”. La risposta ovvia, ma non immediata, è: non è una pipa ma la rappresentazione di essa. E qui si apre il vuoto, lo stesso che separa l’illusione dalla realtà, lo stesso che separa il mondo delle idee platoniche, dal mondo qui e ora.
Ok, siamo tornati a scuola? No e allora accendiamo la televisione e godiamoci un break pubblicitario. Qui tutto concorre a far credere che sia proprio una pipa, la nostra pipa. No, non è il caso di fare un salto sul divano ma di cogliere la lezione di Magritte, e dei surrealisti, per diventare abili a fare il contrario: a vendere prodotti o bisogni utilizzando l’illusione come realtà.
Qualche esempio on air? La gallina dei biscotti del Mulino Bianco
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…per non parlare del mugnaio Antonio Banderas. Viene da chiedersi: una gallina sola quante diavolo di uova produce al giorno per fare così tanti Tarallucci?, e anche ma dove si è mai visto un mugnaio bello come Banderas?, e soprattutto, esiste un contadino che lascia correre due bambini in mezzo ad un campo di grano maturo senza sparargli il sale nelle gambe?
Tutte domande che non ci facciamo se chi ha ideato e realizzato uno spot pubblicitario ha fatto bene il suo mestiere. Non ci facciamo domande ma corriamo a comprare il prodotto, immersi nello spirito della semplicità agreste e della genuinità dei prodotti. Però il “ceci n’est pas une pipe” ritorna come Mago Merlino da Honolulu e dal XX secolo e ci ricorda che l’illusione è bella finché non diventa un inganno.
Ad esempio alla fine del 2011 la società Giuliani è stata sanzionata per pubblicità ingannevole a favore del suo prodotto Bioscalin. Nella campagna stampa e tv si presentava una capacità miracolosa del prodotto che avrebbe favorito una ricrescita lussureggiante dei capelli, invece, guarda un po’, non è così. Nello spot brillano folte chiome di affascinanti ragazze mentre scorrono le percentuali di ricrescita e rinforzo dovute all’azione del prodotto e dunque promesse. Qui l’illusione di bellezza, salute dei capelli, di seduzione scivola nell’inganno. Bioscalin agisce solo su lieve casi di alopecia e momentanee e modeste cadute di capelli.
Due esempi agli antipodi per dimostrare che si può comunicare con efficacia se si hanno idee creative e cose da dire, senza per forza promettere l’impossibile. Andiamo alle regole fondamentali: sottolineare il posizionamento del prodotto, suggerire le motivazioni d’acquisto, dichiarare l’unicità di uno o più attributi del prodotto o dell’offerta. A supporto di questo, l’idea creativa che permette di “bucare” lo schermo e far ricordare. Quindi, ben vengano i pettorali di Banderas.
Si, lo sappiamo ormai a memoria, la pubblicità è l’anima del commercio, a noi consumatori il compito di mantenerla libera.