Poter registrare, fotografare e tenere traccia di tutto quello che fate: ogni persona incontrata, ogni luogo in cui gettate lo sguardo, compreso il tragitto che fate per raggiungerlo. Questo è il lifelogging: registrare e archiviare tutte le informazioni della vita quotidiana attraverso testi, informazioni visuali, audio, fino ad arrivare ai dati biologici rilevati da un sensore sul proprio corpo.
I lifeloggers – per ora soprattutto tecnici software ed esperti di computer science – sono riconoscibili dalla SenseCam, una macchina fotografica senza mirino e display da mettere al collo, grande più o meno come un pacchetto di sigarette, ma sensibile a qualunque cambiamento. Ogni minima variazione di luce, temperatura ambientale o corporea diventa uno scatto. Un’instantanea di un pezzo della vita di chi la indossa.
Non si tratta di un fenomeno nuovo. Se ne parla da circa trent’anni. Uno dei pioneri è Steve Mann, tra i principali sostenitori del wearable computing nei primi anni Novanta. Tuttavia la diffusione delle tecnologie mobile (smartphone in primis) hanno democratizzato e normalizzato pratiche un tempo costose, il risultato è la semplificazione della raccolta, gestione, analisi e condivisione delle informazioni personali.
Cosa accadrà quando il lifelogging diventerà una pratica comune? I nostri comportamenti saranno improntati al buonsenso o avremo bisogno di procedere a tentoni, e sbagliare, per giungere a un codice di regole condivise? Abbiamo una decina d’anni per prepararci
Secondo i sostenitori del lifelogging i benefici di questa pratica potrebbero essere:
- Un monitoraggio 24/7/365 di misurazioni vitali quali temperatura corporea, battito cardiaco, pressione arteriosa, etc. Questi dati potrebbero servire come sistema di controllo in base al quale diagnosticare malattie e prescrivere medicine.
- Una memoria digitale delle persone incontrate, conversazioni effettuate, luoghi visitati ed eventi a cui si è partecipato. Una memoria ricercabile, recuperabile e condivisibile.
- Un archivio completo del lavoro e delle metodologie lavorative. Un’approfondita analisi delle attività svolte che potrebbe migliorare la produttività e la creatività.
- Un modo nuovo di organizzare e “leggere” la propria vita.
Gordon Bell, settantenne guru del lifelogging, una delle prime e più visionarie menti ad interessarsi alla questione (lavora anche per la Microsoft), è convinto che entro il 2020 i diari digitali saranno diffusi quanto le email oggi. Un cambiamento che ha già immaginato nel 2009 nel libro-manifesto Total Recall: How the e-Memory Revolution Will Change Everything scritto con il collega Jim Gemmel: «La società nel suo complesso è inesorabilmente avviata sulla strada della memoria totale. Questa tecnologia trasformerà il mondo che ci circonda e il significato dall’essere “umani”». «La rivoluzione è già iniziata», dice Bell.
Con la sua SenseCam Bell ha tenuto nota del cibo mangiato e delle sue conversazioni telefoniche, fotografato i suoi appunti. Si è spinto fino all’indossare un cardiofrequenzimetro e un localizzatore GPS per verificare se la sua angina fosse sensibile all’ingestione di quantità anche minime di gelato alla panna. Risultato: si è convinto dei vantaggi di possedere un’e-memory, una memoria virtuale in cui «i ricordi digitali sono oggettivamente, spassionatamente, banalmente e impietosamente esatti, al contrario di quelli biologici che sono soggettivi, discontinui, emotivi, impressionistici e mutevoli».
Il nodo fondamentale si colloca a metà strada tra privacy e condivisione. «Per alcuni potrebbe risultare imbarazzante apparire nel lifelog di un altro», riflette Gemmel. «Anche se è paradossale che me l’abbia fatto notare proprio un’amica che posta di tutto sul suo profilo Facebook. Lei, come molti altri, ha già parecchie cose imbarazzanti in rete».
Martin Dodge e Rob Kitchin, due geografi specializzati in tecnologie digitali, hanno analizzato il lato oscuro del lifelogging: se i governi dovessero mettere le mani sui dati del lifelogging, spiegano, avrebbero a disposizione «ogni conversazione e ogni evento materiale della vita di un individuo». Profili pressoché perfetti di ogni singolo cittadino, utili a identificare e punire «piccole infrazioni della legge o delle convenzioni sociali». Una situazione che incoraggerebbe «una deriva ultraconservatrice della società».
Lyndsay Williams, lifelogger e tecnica di software che ha inventato la SenseCam, liquida in poche parole il quadro a tinte fosche dipinto dai due studiosi («soltanto chi ha la coda di paglia può sentirsi minacciato») e sottolinea come non sia più tempo di preoccuparsi della privacy, anche se è consapevole di quanto possa diventare molesto il lifelogging. Il vero problema sono le registrazioni audio. Le persone smettono di parlare se sanno di essere registrate, temono che i loro discorsi vengano memorizzati e usati contro di loro. Un disagio comprensibile: la foto di un gruppo di colleghi che chiacchierano alla macchinetta del caffè è banale, mentre la loro conversazione può rivelarsi estremamente interessante.
Le aziende stanno già cercando di mettere le mani sul lifelogging, sappiamo che la Danone l’ha usato di recente per capire quanto fossero richiesti alcuni suoi prodotti. Ci siamo già dentro fino al collo? Cosa potrebbero fare le aziende nelle loro strategie di marketing se avessero a disposizione tutti questi dati?
Bell profetizza l’avvento di un «Piccolo Fratello», una sorveglianza democratizzata attuata da milioni di individui anziché da un’autorità onnipervasiva.
Oggi si iniziano a vedere le prime applicazioni di questa filosofia anche negli strumenti di uso comune: Evernote è un’App per I-Phone e Android che permette di registrare la propria memoria attraverso foto geo-taggate, note vocali, note di testo e rendendo semplice la ricerca tra queste informazioni. Evernote ha già raggiunto i 2 milioni di utenti unici, solo dopo 7 mesi che aveva raggiunto il primo milione.
Immaginate un archivio digitale completo della vostra vita, aggiornato in tempo reale e accessibile in ogni momento. Prospettiva inquietante o affascinante?