Nei post precedenti ho parlato e cercato di analizzare i perchè di un fenomeno, quello delle comunità di innovazione, dandone per scontato però la definizione delle caratteristiche. Solamente rileggendo quello che ho scritto mi sono accorto che non è così immediato fare il collegamento a ritroso che porta dal “cosa fanno e perchè” al “come sono fatte”.
L’illuminazione l’ho avuta grazie a un po’ di amarcord del mio periodo universitario. Siamo più o meno nel tardo giugno del 2004. Io, uno spilungone di 2 metri abbondanti appassionato di Basket NBA (questo in realtà non è cambiato molto dopo 8 anni) tifosissimo dei, all’epoca, derelitti Boston Celtic sto per assistere al trionfo degli arcinemici L.A. Lakers che in finale trovano la sorpresa Detroit. Ora in un mondo matematico, dove il totale è la somma dei singoli, non ci sarebbe storia. Da una parte 4 futuri hall of famer e due dei più forti bipedi che abbiano mai solcato i campi; dall’altra una squadra di talento medio in cui il centro titolare non è mai stato scelto al draft NBA e l’acquisto in corsa più che spaccare le partite ha la fama di spacca-spogliatoi.
Tutto faceva pensare ad una vittoria facile dei Lakers e invece quella finale è considerata uno dei più clamorosi upset della storia del basket professionistico. Detroit vinse quella finale grazie alle caratteristiche del gruppo, al legame che si fondava su valori condivisi che tutti i componenti della franchigia facevano propri.
Solo ora mi rendo conto che per riuscire a comprendere il motivo di certe azioni e di certe reazioni come e i sistemi di rivelazione gratuita che si instaurano con le grandi aziende produttrici è indispensabile definire i caratteri peculiari condivisi da tutte le comunità.
A seconda del taglio che ne vogliamo dare, esistono diverse definizioni del termine specifico “comunità” ma una visione d’insieme degli studi effettuati ci permette di isolare tre caratteri o marcatori propri delle comunità.
Il primo e, forse, più importante è quello che Gusfield (1978) nel suo lavoro definisce come “consciousness of kind”. Questo carattere è il legame intrinseco che i membri sentono l’uno verso l’altro e il senso collettivo di differenza avvertito verso i soggetti esterni alla comunità non in quanto singole entità ma come totalità.
Tra i componenti del gruppo esiste una coscienza condivisa, un modo di pensare le cose che risulta essere più forte che una semplice condivisione di atteggiamenti o la percezione di somiglianze.
Nell’esempio della finale del 2004 Detroit era una squadra in missione che giocava per la franchigia mentre L.A. erano dei supercampioni che scendevano in campo per ego e obiettivi personali.
Il secondo marcatore delle comunità è la condivisione di riti e tradizioni. Questo particolare marcatore è sintomo di un continuum storico che tendono a perpetuare nel tempo la coscienza e la cultura della comunità. I rituali “servono a contenere la deriva dei significati… [che] sono convezioni che costituiscono visibili definizioni pubbliche (Douglas e Ishwerwood, 1979) e la solidarietà sociale (Durkheim, 1965)”. Per tradizioni invece, secondo Marshall (1994), si intendono le pratiche sociali che cercano di celebrare e inculcare determinati valori agli appartenenti alla comunità.
I Pistons del 2004 furono creati dal GM Joe Dumars, leggendario play-guardia dei “Bad Boys” di Detroit che a cavallo degli anni 80-90 vinsero 2 titoli consecutivi. Dumars scelse giocatori che incarnassero quello spirito di gruppo trasmettendo a tutti i componenti quei riti e quelle tradizioni verso il gioco che si rivelarono decisive per il risultato finale.
Il terzo carattere della comunità è uno spiccato senso di responsabilità morale, un sentito senso del dovere che si estende dalla comunità nel suo insieme fino ai singoli componenti della stessa. Questo senso di responsabilità morale è ciò che produce, in tempi di minaccia per le comunità, i contratti di azione collettiva.
Qui il parallelo è un po’ “stiracchiato” ma significativo. Personalmente , se dovessi programmare una vacanza e mi dicessero di scegliere tra Los Angeles e Detroit non avrei molti dubbi. Ecco in quella determinata occasione la sfida sportiva divenne anche una responsabilità morale verso tutta la comunità della città che per una volta voleva essere il punto di riferimento a discapito della più glamour città degli angeli.
A questo punto, è chiaro come questi tre marcatori siano strettamente legati con il concetto di motivazioni al free revealing che ho citato nei post precedenti
Se, come si è affermato, l’incentivazione e la motivazione per cui gli appartenenti ad una comunità si staccano dalla visione economica legata a doppio filo con l’erogazione di premi finanziari, tratti forti come appartenenza, condivisione di valori e spirito identitario giocano un forte ruolo di input al processo prima di innovazione e condivisione interno al soggetto comunità e poi alla rivelazione gratuita alle imprese industriali del settore per la loro diffusione su larga scala.
Nel 2004 i giocatori di quella Detroit non erano spinti dal denaro come volano principale delle loro prestazioni, non erano presenti con alcun atleta nei primi posti della classifica dei più pagati NBA, giocavano per la franchigia, con rispetto per il gioco e per la città. Per molti di loro quella incredibile stagione si trasformò in un ritorno economico spesso in altre squadre ma con risultati sportivi alterni.