L'ambiente di lavoro in GoogleAvete mai pensato a cosa racconta di voi e della vostra azienda l’ambiente di lavoro in cui voi e i vostri collaboratori operate? Quanto l’ambiente di lavoro può condizionare l’atteggiamento mentale di chi vi lavora? La sede di Google è diventata famosa per i calcio balilla e lo scivolo al posto delle scale. Allo stesso tempo ultimamente abbiamo letto svariate opinioni sugli open space.

Ma siamo così sicuri che vi sia una correlazione tra luogo e lavoro? Magari sono solo chiacchiere senza fondamento. I nostri nonni infatti questo problema non se lo erano mai posto. Forse nemmeno mio padre che quando gli parlo di un ufficio stressante per il disordine e il rumore mi dice che l’importante è che si lavori.

L’ambiente influenza chi ci abita in termini di prestazioni sul lavoro e soddisfazione del cliente? Ho cercato la risposta a questa domanda uscendo dall’ambito economico e inoltrandomi su altri sentieri.

Esiste una teoria la quale prevede la prevenzione del crimine attraverso una corretta progettazione ambientale. Questa si basa sulla “teoria delle finestre rotte”.

Se in un quartiere viene inflitto un danno, per esempio viene rotto il vetro di una finestra e non è prontamente aggiustato, di lì a poco qualcuno  ne romperà un altro. Il danno non immediatamente corretto innesca un processo mentale che evidenzia la poca cura quindi la possibilità di trasgredire la regola.

Un altro interessante esperimento è stato fatto in Inghilterra. Sono state messe delle banconote, facilmente visibili, in una cassetta della posta. Davanti un piccolo giardino, nessuna recinzione.  Il giardino veniva “allestito” in due modi differenti: erba perfettamente tagliata, assoluta pulizia e piante ben curate in un caso; cartoni della pizza, resti arruginiti di una motocicletta, erbacce nell’altro.

Nel secondo caso i soldi sparivano con una percentuale dell’80%.

Nella vita sociale l’uomo tende a leggere i segnali ambientali come indicazioni di comportamento. A questi comportamenti tende naturalmente e inconsapevolmente ad assimilarsi.  Un ambiente urbano degradato porta ad avere meno cura dello spazio pubblico, vicini aggressivi porterà a diventare aggressivi, la sporcizia per terra indurrà, chi ha la carta di caramella in mano, a lasciarla cadere.

Ma l’ambiente non solo ci condiziona, ma anche ci descrive.

La “televisione”, intesa come flusso di immagini, ha dato altre forme alla letteratura e ridimensionato l’immaginazione che, ora, si è trasformata in un immenso catalogo di figurine.

Se oggi ci raccontano di un marines lo “vediamo” attingendo alle immagini, a disposizione nella memoria, “prelevate” in film, documentari, fotografie. Nel romanzo dell’800 chi scriveva non era aiutato dal nostro “catalogo figurativo” e, per  raccontare, per esempio, una vedova ricca, ma tignosa e meschina, doveva descrivere elementi che aiutassero visivamente il lettore a identificare l’oggetto della descrizione.

Balzac, nelle prime pagine di Papà Goriot, descrive la pensione della vedova Vaquer iniziando così:

La prima stanza emana un odore che non ha nome nel linguaggio, e che bisognerebbe chiamare odore di pensione: tanfo di rinchiuso, di muffa, di rancido; … é umido all’olfatto, penetra attraverso gli indumenti; ha il sentore di un locale in cui si sia mangiato; puzza di gabinetto, di cucina, d’ospizio di vecchi…

Chi può comparire in scena?

Essa cammina strascicando le ciabatte grinzose. Il viso vecchiotto, tondo, in mezzo al quale s’erge un naso a becco di pappagallo, le manine paffute, la persona grassoccia come un topo di chiesa, il seno troppo colmo e ballonzolante, sono in armonia con quella sala che trasuda miseria, dove la speculazione si è rincantucciata, e di cui la signora Vauquer respira l’aria calda e fetida.

Balzac introduce, con la descrizione dell’ambiente, la persona che ci abita

Anche la scienza della comunicazione oltre alla sociologia e alla letteratura ci dicono che spesso mettiamo in atto inconsapevolmente un atteggiamento di chiusura (o di apertura) influenzati dai piccoli dettagli: gli accessori mal attaccati nel bagno di un bel ristorante, il plateatico poco curato dell’azienda dove vi recate, la scrivania del vostro interlocutore e molto altro. Non parliamo dei falsi status symbol degli anni ’80, come la macchina di grossa cilindrata per fare bella figura, ma di comunicare nel modo più veritiero chi siamo e come vediamo il mondo. Ricordando sempre che siamo lettori degli altri, ma anche scrittori di noi stessi.

La risposta alla domanda che ci siamo posti sembrerebbe dunque essere affermativa, ovvero l’ambiente in cui lavoriamo e accogliamo i nostri clienti ci racconta e ci influenza in un rapporto biunivoco spesso inconsapevole. Ci tengo, tuttavia, a porre l’attenzione sul fatto che non si tratta di creare un ambiente zen di design quando i modi e i valori aziendali hanno poco o nulla a che fare con ciò. Si tratta di creare un ambiente che ci rispecchi nei valori e che sia congruente con la nostra visione. La creazione/sistemazione di un ambiente può anche essere un momento di revisione strategica dei nostri valori e del nostro modus operandi. La ridefinizione dell’ambiente può infatti offrire la possibilità di lavorare attraverso una ridefinizione materiale e fisica su aspetti intangibili come vision e mission. Infine, non dimentichiamoci dello spazio che permea gran parte della nostra vita: il web! Come si presenta il vostro profilo aziendale online? Coerente? Confusionario?

Guardatevi attorno. Cosa raccontate di voi?