Tra le migliaia di applicazioni che hanno conquistato la ribalta di internet negli ultimi mesi, sto scoprendo ed apprezzando Spotify. Niente più che un servizio gratuito, con interruzioni pubblicitarie, o in abbonamento, a pagamento, per la fruizione di milioni di tracce musicali in streaming con alcune limitazioni, ad esempio territoriali, in Italia ancora non è disponibile ufficialmente, e musicali, alcuni album non sono disponibili per problematiche di diritti con case discografiche.

Non è un servizio nuovo, è nato alla fine del 2008 in Svezia, ma è soltanto con il lancio nel mercato americano nel Luglio 2011 che c’è stata una svolta importante a livello di abbonati, ormai più di 2,5 milioni. Come è facilmente intuibile un servizio di questo tipo deve superare non poche barriere, una fra tutte, la più onerosa, è quella dei diritti d’autore degli artisti gestiti da case discografiche che vedono la circolazione dei brani musicali peer-to-peer più come una minaccia che un’opportunità di sviluppo del business. Il passaggio dalla vendita di un prodotto (sia esso un CD o un file MP3 via iTunes) ad un servizio come  Open Music Model non è semplice.


Il modello economico legato ad internet nel giro di qualche anno porterà inevitabilmente ad ulteriori cambiamenti nel paradigma del business off ed online. Questi due modelli, già oggi stanno evolvendo in maniera convergente grazie ad un’evoluzione similare nella mentalità del consumatore e dell’utente/consumatore di internet in quanto queste due figure tendono a sovrapporsi e diventare la stessa identità.

Ciò che appare necessario è che la spinosa questione della condivisione di materiale sotto protezione di copyright debba evolvere drasticamente. Da una parte la dirompente forza delle piattaforme digitali Open dovranno in qualche modo portare ad un cambiamento nella gestione del business per qualsiasi settore legato ai diritti d’autore. Dall’altro ci dovrà essere parimenti un’evoluzione nel consumatore/utente di internet che porterà ad una parziale modifica dell’equazione internet=gratis.
Questo non significa che tutto potrebbe o dovrebbe diventare a pagamento, anzi, ma che sempre più facilmente sarà l’utente stesso a ricercare servizi che gli consentono di semplificarne la fruizione rendendola più facilmente condivisibile sia su dispositivi diversi, sia a livello di cerchie sociali digitali. Il modello di condivisione di contenuti su internet e social media è gratuito, ma proprio la possibilità di amplificare tale condivisione rende lo spazio per il business dei contenuti ancora più ricco di opportunità di sviluppo.

Tornando al caso Spotify, la recente integrazione con Facebook e Twitter che rende possibile la condivisione di brani musicali, playlist, interi album, con la propria rete di amici ne è il chiaro esempio. Nonostante lo scetticismo, ritengo che questa sia la vera strada che può portare ad un’evoluzione positiva del business. Senza entrare nel merito delle annose questioni legate alla pirateria online, credo che la possibilità di fruire e condividere contenuti resa possibile da internet e i diversi canali a disposizione dell’utente meriti di essere sviluppata ulteriormente. Senza l’adozione di un nuovo modo di pensare la fruizione del contenuto si rischia di perdere un’occasione importante.

C’è un salto culturale da fare, non ho dubbi che già ci stiamo muovendo in questa direzione.

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