Viviamo in un contesto che potremmo definire tecno-sociale: il modo di stare insieme e gestire le relazioni interpersonali, il modo di fruire dei contenuti prodotti dai media, il modo di raccontare le storie e il modo di raccontarci sono mutati. Tutto ciò anche a causa di alcune rivoluzioni tecnologiche.

ATTENZIONE: ciò che è mutato non sono solo gli strumenti tecnologici ma soprattutto i protocolli (i paradigmi) culturali attraverso cui i “contenuti mediatici” vengono prodotti (produzione e rielaborazione diffusa) e consumati (il consumo mediale come atto partecipativo e condiviso).


Vediamo alcuni dei tratti distintivi di questo nuovo, e per molti versi complesso, contesto (vedi prefazione di Wu Ming al libro “Cultura convergente” di Henry Jenkins):

  • Innovazione tecnologica: anche se i cambiamenti profondi della nostra epoca riguardano cultura e abilità cognitive è innegabile che le innovazione tecnologiche, da sempre presenti nel mondo dei media, si susseguono ad un ritmo vertiginoso mai visto prima.
    In 50 anni il mondo è cambiato molto più in fretta di quanto è cambiato negli ultimi 150.
    Le barriere all’entrata per l’utilizzo di queste nuove tecnologie, sia a livello di “usabilità” sia a livello di spinta alla partecipazione, non sono mai state così basse e hanno comportato una diffusione massiccia e pervasiva che ci accompagna in tutti i momenti della nostra vita quotidiana (pensiamo alla facilità di utilizzo degli attuali PC portatili rispetto ai primi calcolatori elettronici o alla semplicità con cui oggi è possibile aprire un blog o partecipare ad una discussione su Facebook).
  • Parlare di convergenza in questo nuovo contesto tecno – sociale significa parlare del progressivo avvicinamento o integrazione di fenomeni, variabili o formati. In questo senso la convergenza può essere letta sotto tre differenti punti di vista: 
  1. Contenuti dei media: si è definitivamente passati dal sistema analogico al sistema digitale e tutti i contenuti di tutti i tipi (video, immagini, suoni, testi) vengono diffusi come “pacchetti” di dati. Ciò che muta, e che si innova, sono i “contenitori” attraverso cui tali contenuti si diffondono (tv, mp3, giornali, tablet, ecc.).
  2. Concentrazione della produzione e distribuzione dei contenuti multimediali in grandi reti globali dell’intrattenimento: Warner Brothers, Disney, News Corporations, CBS a cui oggi si affiancano le nuove piattaforme nate nel mondo digitale: Apple (Apple Tv e Pixar), Google (You Tube, Motorola, Android) e Microsoft.
  3. Convergenza tra comunicazione di massa e comunicazione interpersonale tanto che Castells parla di “auto comunicazione di massa(non c’è più differenza tra la comunicazione di massa e la comunicazione interpersonale).
  • Partecipazione: come spesso avviene nel mondo della società liquida sembrano coesistere nel medesimo tempo tendenze apparentemente opposte (agire localmente, pensare globalmente). Se da una parte si vede aumentare la concentrazione di grandi reti globali dell’intrattenimento dall’altra aumenta anche la produzione e la “riappropriazione” dal basso dei contenuti mediali. L’utilizzo e il “mixaggio” di video per fini di satira o propaganda, l’utilizzo di Photoshop per la confezione di fotomontaggi, i sequel di film di culto realizzati dai fans dei film (Star Wars su tutti) pongono in una nuova prospettiva la produzione e la distribuzione dei contenuti mediali stessi.
    L’atto di consumo del contenuto mediale non è atto solipsistico: la “Siora Maria” o la tanto vituperata “casalinga di Voghera” che guarda la TV nel chiuso del proprio soggiorno è specie rara e in via di estinzione.
    Chi usufruisce di un certo contenuto ne parla, lo condivide attraverso i social network, lo modifica, lo recensisce e attraverso tutte queste azioni influenza e “preme” sui produttori ufficiali del prodotto (a poche puntate dalla fine del seguitissimo telefilm LOST la produzione ABC lanciò un contest per condividere e premiare le migliore rielaborazioni grafiche – dipinti, video, rielaborazioni grafiche – ispirate alla serie).
    Il consumatore postmoderno esiste anche nel campo mediale essendo passato da:
    • Passivo ad Attivo;
    • Stanziale a Nomade;
    • Fedele a Infedele e opportunista;
    • Incantato a Smaliziato/Critico;
    • Silenzioso a Rumoroso;
    • Invisibile a Ipervisibile.

Tutto ciò vale anche per il particolare “prodotto mediale” rappresentato dalle notizie: esse vengono spezzettate, condivise nei social network, tagliate e selezionate in modo tutt’altro che neutrale. Ma non solo: anche in Italia, sebbene in misura minore rispetto agli USA, iniziano a registrarsi esperienze di micro-giornalismo di quartiere, di giornalismo dal basso e di citizen journalism che altro non sono che espressioni di partecipazione dal basso. I templi delle notizie sono sotto asseddio (pensate al ruolo di Twitter!). Il filone di riflessione sul nuovo ruolo dei contenitori di notizie e dei produttori di notizie rimane tutto da esplorare.

  • Connettività perpetua: l’essere perennemente avvolti e inseguiti da dispositivi in perenne connessione (smartphone e tablet) modifica la nostra soglia attentiva: siamo in regime di attenzione diffusa a bassa intensità. La vera abilità è attivare il focus quando una serie di stimoli ci avverte che vale la pena farlo.Il tanto vituperato, a livello scolastico, multitasking andrebbe insegnato a chi non lo possiede di default nel proprio DNA, come accade per i nativi digitali, nati e cresciuti in questo substrato tecno – sociale.La connettività perpetua pone un altro problema a livello di “alfabetizzazione mediale”: quali sono le nuove abilità da sviluppare nei consumatori e, soprattutto, nei futuri cittadini della e-democracy?
  • Globale: inutile dire che, oggi, la diffusione dei contenuti, di tutti i tipi, si misura su scala globale con tutti i rischi e le opportunità del caso: omologazione culturale o diversità? Perdita o esaltazione per le culture di minoranza? Appiattimento o valorizzazione delle diversità linguistiche?
  • Non equa: queste rivoluzioni non sono alla portata di tutti per due ordini di fattori:
  1. Tecnologici: e il digital divide italiano, sempre più inaccettabile e “invalidante” dal punto di vista economico, è un buon esempio, nel micro, di quanto sta accadendo tra primo e terzo mondo , nel macro.
  2. Culturali: come sempre è un errore ridurre tali mutamenti solo ad un orizzonte tecnologico. La vera sfida del futuro sarà un’alfabetizzazione mediatica che prenda in considerazione le profonde differenze nell’utilizzo dei media che si registrano all’interno di una stessa fascia socio-demografica.
    Soggetti adolescenti, nati “con” e “nella” rivoluzione digitale, utilizzano in maniera totalmente diversa le opportunità offerte dalla rete anche a causa delle differenze dovute alla scolarizzazione. C’è chi è in grado di utilizzare mail e social network ma non è in grado di valutare l’attendibilità di una voce di wikipedia o di reperire informazioni attendibili attraverso i motori di ricerca.
  • Generazionale: indubbiamente i contenuti mediatici vengono utilizzati in maniera totalmente diversa da generazioni differenti. Come ricorda Castells gli adolescenti di oggi fanno fatica a comprendere il concetto di una televisione con un palinsesto stabilito da terzi o di notizie lette dall’inizio alla fine in un supporto cartaceo.
    Al contrario le dinamiche relazionali dei social network, la riappropriazione e la diffusione di contenuti “amatoriali” basate su logiche partecipative sono concetti del tutto opachi a molti dei baby boomers.

Quali scenari per il futuro?

Non esisterà nessun “super telefonino” o “super pc” che cancellerà tutti gli altri media.

L’oralità è sopravvissuta alla stampa; la radio è sopravvissuta alla televisione; il cinema è sopravvissuto alla televisione e il libro sopravvivrà all’e-book.

Ci aspetta una lunga e confusa fase di convergenza in cui differenti media coesisteranno nello stesso ecosistema.

Ciò che non cambierà, a meno di cataclismi catastrofici, è la forma digitale dei messaggi che saranno sempre più progettati per una diffusione trans-mediale: trailer per tv, telefonini, tablet, musica per ipod, smartphone, cd, dischi fissi, ecc.

I contenitori continueranno a cambiare: la pellicola è stata soppiantata dal digitale, le videocassette dai cd, i vinili dagli MP3.

Quale sarà il ruolo dei comunicatori in questo contesto trans-mediale?

Propongo di riflettere su tre filoni:

  1. Quali nuove competenze cognitive e tecniche ci sono richieste per far fronte a questi cambiamenti? Cosa vuol dire oggi produrre un contenuto che, volenti o nolenti, sarà trans-mediale? Come possiamo stipulare un “nuovo patto” generazionale con i giovani, culturalmente diversi, che in questo contesto sono nati?
  2. I comunicatori rivestono sempre più un ruolo da gatekeepers, guardiani dei cancelli dell’informazione e comunicazione “ufficiale” (o meglio mainstream). Le variabili dell’attendibilità e della credibilità della fonte (al limite fino a far diventare i quotidiani o le storiche testate informative come “marchio di certificazione” della notizia) diventano fondamentali.
  3. Quali sono le regole di base della “buona notizia” da fornire ad un utente/mercato assediato dalle informazioni? Quali devono essere i criteri di qualità di una notizia da affidare ad un fruitore che dispone di un numero sempre maggiore di informazioni ma che, spesso, è molto più impegnato a selezionare e a “difendersi” piuttosto che a ricercare proattivamente.

È su queste sfide che si gioca il futuro della nostra società e delle terre promesse tante volte annunciate dalla rete: cittadinanza attiva, consumo partecipato e consapevole, intelligenza collettiva, creatività diffusa.