Normalmente non tratto esperienze dirette vissute in qualità di consumatore tra i temi di questo blog, ma in questo caso credo si possa fare una eccezione in quanto si tratta di una customer experience che può insegnarci le 5 cose che una azienda non dovrebbe fare con i propri clienti.
Dieci mesi fa ho comprato un divano da Poltronesofà. Nella logica del customer journey ho scremato informazioni e conoscenza via web. Selezionato alcuni dei fornitori che ritenevo più appropriati ai miei bisogni e mi sono avvicinata a loro visitando alcuni punti vendita per toccare con mano la loro affidabilità e la qualità dei loro prodotti. Al termine di questa fase ho selezionato un paio di opzioni e valutato gli aspetti promozionali in corso per arrivare a scegliere il divano che più si addiceva ai miei bisogni, adeguatamente correlandolo al rapporto qualità prezzo e alla percezione sulla marca che mi ero nel frattempo fatta.
In quel periodo girava il tanto famoso spot “beato chi se lo fà il sofà” in cui Sabrina Ferilli faceva da testimonial per la ditta da me alla fine prescelta.
Acquistato il divano i tempi di consegna dello stesso si sono aggirati attorno ai 2 mesi e mezzo prima di poter finalmente vederlo nel mio soggiorno. Dal mio punto di vista la tempistica mi pareva un po’ eccessiva, ma alla fine mi sono abituata all’idea e ho atteso pazientemente, anche quando, contattata dal rivenditore di zona mi è stata rinviata la data di consegna in quanto non avevano valutato che per consegnare a casa mia, abitando in una zona a traffico limitato, il corriere avrebbe dovuto richiedere un permesso per il transito.
Il giorno della consegna, emozionata per il tanto atteso evento, alle 8:00 di mattina due persone allestiscono il divano nel mio soggiorno, mi fanno compilare un documento e se ne vanno. A questo punto mi posso finalmente godere la mia bella chaise–longue di pelle bianca. Mi avvicino al divano mi siedo con soddisfazione allungando per bene le gambe. Poi mi alzo e faccio un bel giro di perlustrazione valutando quanto riempia bene gli spazi del salotto, proprio come avevo sperato. Mi accorgo della presenza di una abrasione che fa emergere il colore scuro del tessuto sottostante per una dimensione di circa due centimetri.
In quel momento la mia soddisfazione svanisce tutta ad un tratto e proprio come accade nel tipico caso di dissonanza cognitiva, mi trovo con l’umore sotto i tacchi a cercare dalla finestra di fermare, inutilmente, i due “fattorini” di Poltronesofà. A questo punto mi attivo immediatamente e chiamo il rivenditore da cui ho acquistato il divano chiedendogli di risolvermi il problema. Non era mia intenzione assolutamente tenermi un prodotto danneggiato e questo lo rimarco ripetutamente alla signora che sta all’altro capo della cornetta. Mi viene assicurato che un “ticket” è stato aperto e che a distanza di qualche giorno mi sarà data una risposta. Nel frattempo mi viene chiesto di spedire via email documentazione fotografica, che verrà allegata al “ticket”. E qui comincia la storia.
Per due mesi interi in cui gran parte delle volte sono io a dover sollecitare il rivenditore ad una risposta e non lui a fornirmi una tempestiva soluzione, mi viene dapprima sottoposta la soluzione del ritiro integrale del divano che sarebbe stato sostituito o riparato nell’arco di 3 mesi (faccio notare che il giorno prima avevo regalato il divano vecchio per fare posto a quello nuovo e che quindi sarei rimasta senza divano per l’intero periodo in quanto non era prevista una soluzione temporanea). Il divano dovrebbe essere spedito in fabbrica per una verifica e solo dopo sarebbe stata presa una decisione sulla sostituzione o sulla riparazione. La soluzione alternativa che mi viene prospettata è la spedizione di un correttore che “dipinto” sopra alla abrasione avrebbe potuto risolvere il problema. Accetto questa seconda soluzione in accordo con il rivenditore che se, qualora la soluzione non fosse stata all’altezza, avrei optato in futuro per il ritiro.
Passano altre due settimane e finalmente arriva la telefonata del rivenditore che dice che posso passare in negozio a prendere il correttore. Speravo me lo spedissero a casa, ma vabbè… passo a prenderlo. La sera, apro la confezione all’interno della quale c’è una ampollina simile a quella dell’esame delle urine con dentro una soluzione biancastra e due pennellini dalla dimensione diversa: uno per spalmare superfici di dimensione più ampia, l’altro per le rifiniture. Sulla confezione della busta a pluriball un codice che probabilmente si riferisce alla tonalità del colore. Spalmo ampiamente col pennello più grande il liquido sull’abrasione e aspetto che asciughi. L’effetto non è dei migliori. Nei giorni successivi faccio qualche ritocco. Passo il pennello anche in uno dei 3 cuscini dove mi sembra ci sia una piccola imperfezione. Ma dentro ho sempre quella sensazione di aver preso una fregatura. Richiamo il rivenditore quindi e segnalo la mia insoddisfazione chiedendo di essere risarcita di una parte della spesa per aver ricevuto un prodotto difettato. Da parte mia un gesto di avvicinamento sarebbe bastato anche a livello simbolico e avrebbe riportato il mio livello di insoddisfazione ad una “tacca” accettabile. Purtroppo la risposta che ricevetti fu diversa. Decisi pertanto, anche per altre motivazioni, di non accanirmi su questo problema e di tenermi il divano difettato, ripromettendomi però di non comprare più nulla da Poltronesofà.
A distanza di qualche mese però, in una delle rare domeniche in cui passo la giornata a casa, mi accorgo che, alla luce del sole nei punti in cui è stato applicato il correttore, la colorazione del divano appare decisamente più scura, andando a formare una vera e propria macchia visibile e fastidiosa. Sono passati diversi mesi dalla consegna e solo qualche mese dalla mia ultima telefonata al rivenditore, ma la mia rabbia per questo acquisto sale e riprendo la cornetta in mano. Chiamo per segnalare il nuovo problema decisa a far valere le mie rivendicazioni di cliente insoddisfatto. Ma la risposta che ottengo è l’apertura di un nuovo “ticket”. Un’altro?. Di nuovo mi viene chiesto di spedire via email una documentazione fotografica e una breve descrizione del problema.
Passa un mese e non ho ancora ricevuto risposta. Richiamo e scopro che non riescono a trovare il mio contratto d’acquisto e mi chiedono di rispedire l’email con le foto. Fornisco io copia del contratto e mi rimetto ad attendere.
Passa un altro mese e finalmente, sempre su mia sollecitudine, mi fanno sapere che il divano sarà ritirato e riparato. Ci vorrà circa 1 mese prima che me lo riportino, ma io questa volta decido che lo voglio a posto e quindi accetto il ritiro. Definisco la data e l’ora e mi sento meglio.
Il giorno del ritiro però la signora del negozio mi chiama per dirmi che non possono venire a ritirare perché si sono accorti solo in mattinata che abito in una zona a traffico limitato e che pertanto per transitare dalle mie parti devono richiedere un permesso. Di nuovo? Ma anche l’altra volta è successo lo stesso! Possibile? Vabbè… mi dice che mi richiama per fissare un nuovo appuntamento appena pronto il permesso.
Passano altre due settimane. Richiamo io. Mi faccio dare una nuova data e finalmente passano a ritirare il divano! O meglio, solo un pezzo del divano. La chaise-longue rimane. Li sola e soletta in mezzo ad una stanza che non è più la stessa…
Passano due mesi e all’approssimarsi della data di consegna mi accerto che le cose stiano procedendo correttamente. La signora del rivenditore mi dice che a PC non vede “progressi”. Si, dice proprio così: “Non vedo nulla qui a computer, non so cosa dirle”. La prima volta non ci faccio caso, ma quando mi viene ripetuto anche la settimana dopo, quella dopo ancora e quella dopo ancora, inizio un attimino ad adirarmi e chiedo in modo abbastanza innervosito che mi sia data risposta in merito all’evasione dell’ordine di riparazione del mio divano. Dopo un’altra settimana, mi richiama la signora e mi dice che in ditta non hanno intenzione di far riparare il divano e che credono che io abbia passato sulle abrasioni altri prodotti che hanno creato la macchia e pertanto le soluzioni sono due: o pago 400 euro e mi riparano in due mesi il divano oppure accetto una analisi distruttiva delle parti interessate per analizzare il materiale usato per colorare le abrasioni iniziali. Casco letteralmente per terra! Non ci posso credere! Ho aspettato tre mesi per sentirmi dire che non hanno neanche iniziato e anzi, mettono in discussione quanto fino ad ora ho sempre segnalato e tempestivamente documentato per scaricare su di me l’onere della riparazione. Non ne posso più! Mai più!! Prendo la macchina, vado in negozio e mi sfogo! Durante lo sfogo di tutta la storia a partire dagli inizi, gli segnalo che una semplice analisi chimica potrebbe facilmente far vedere se si tratta del loro correttore o no e mi rendo disponibile a portargli quello che da qualche parte dovrei avere a casa… anzi gli dico che se vogliono possiamo provarlo su uno dei divani che hanno in esposizione…
Si crea un piccolo capannello di venditrici che ascoltano e si dimostrano comprensive del problema. Mi dicono di aver fatto il possibile, che forse il correttore non era quello giusto e che forse nel frattempo potrebbe essere scaduto… ma che “giù in ditta” il responsabile produzione non vuole ascoltarle, e che è meglio se facciamo scrivere ad un avvocato o contattiamo l’associazione dei consumatori, così forse ci ascoltano… Capisco che qui, anche se mi arrabbio poco ottengo e me ne vado, conscia che se voglio far valere i miei diritti la battaglia sarà dura. Esco con un regalo in forma cartacea dalle venditrici: la copia stampata di tutte le discussioni tra Poltronesofà e il rivenditore in cui c’è la crono storia della mia insoddisfazione, romanzata sotto forma di “ticket” di CRM (Customer Relationship Management).
E qui arriviamo ad oggi e a questo post, non prima di scoprire che Sabrina Ferilli ha fatto causa a Poltronesofà per uso oltre i termini di contratto della sua immagine… povera Sabrina!
Le cinque regole che vorrei proporre a Poltronesofà per la gestione del cliente sono:
- La dissonanza cognitiva è il momento di massima debolezza nella gestione del rapporto con il cliente. Vuoi avere una buona reputazione ed un cliente fedele? Stagli vicino subito dopo l’acquisto.
- Ascolta il tuo cliente e cerca di dargli risposte tempestive. Ammetti pure i tuoi limiti ma cerca di fargli sentire la tua presenza nel momento in cui si sente insoddisfatto.
- Non ti nascondere dietro il CRM e i suoi “ticket”. Parlami! Scoprirai che dall’altra parte non c’è un numero o una statistica, ma una persona in carne e ossa.
- La tua reputazione è legata al passaparola. Investi quanto vuoi in Testimonial e slogan pubblicitari, ma sii coerente e vero! Non raccontare quello che non sei, perché altrimenti prima o poi qualcuno (nel vostro caso lo stesso testimonial prima di me) vi scoprirà e la reputazione del vostro brand andrà coerentemente a farsi friggere.
- Parla con i tuoi intermediari e dai loro gli strumenti per gestire la relazione con il tuo (e il loro cliente). Un intermediario poco motivato che consiglia al cliente di rivolgersi ad uno studio legale o alle associazioni di categoria e dimostra il proprio impegno fornendo copia delle discussioni interne all’azienda per dimostrare la propria buona fede è un rivenditore che non crede lui stesso in te! E questo è forse il problema più grosso che hai…
Cara Sabrina. A questo punto ti dico che io non mi sento per niente Beata di essermi fatta un sofà da Poltronesofà e sconsiglierò vivamente chiunque conosco ad acquistare da questa azienda. So che anche tu la prossima volta starai più attenta a sceglierti un compagno di viaggio più serio.
Se qualcuno avesse qualcosa da dire in merito io sono qui.