Tante cose sono cambiate negli ultimi dieci anni: una di queste è il mercato del lavoro. Non solo in termini di quantità – posti di lavoro – ma anche, e soprattutto, in termini di qualità.
Per iniziare a capire come è già cambiato e come continuerà a cambiare il mercato del lavoro, basti pensare che vent’anni fa non esisteva (o quasi) il web e che dieci anni fa non esistevano i social network. Se solo due decenni fa non esistevano lavori come il social media manager o il programmatore web: che lavori quindi ci saranno fra vent’anni? Dirlo non è facile, tuttavia, è possibile individuare alcuni trend:
Il lavoro smetterà di essere legato ad uno spazio fisico. Sempre più spesso avremmo team di free-lance che lavoreranno assieme da diversi luoghi e magari solo per un progetto grazie a internet (Skype, Google Docs, …);
Le gerarchie sul posto di lavoro andranno scomparendo a favore di organizzazioni più piatte;
Nessun titolo di studio assicurerà un lavoro, e l’auto-formazione ed educazione assumerà un ruolo chiave (si pensi alle informazioni disponibili su siti come Academic Earth e Ted);
La competizione per i lavori di prestigio sarà sempre meno legata al dove vivi e sempre più legata a cosa sai e puoi imparare;
I concetti di posto di lavoro “sicuro” e carriera spariranno in favore di parole come progetto e competenza;
In futuro, dunque gran parte di noi si troverà ad avere una situazione lavorativa simile a quella degli attori che lavorano per un dato film e per un periodo di tempo fissato assieme ad altri attori e che poi possono o meno lavorare ancora con le stesse persone, nello stesso ruolo e genere. In altre parole, le aziende assumeranno sempre più forme organizzative dette project-based organization.
Guardando a tutti questi cambiamenti e vivendo in prima persona gran parte di essi, mi sono chiesto qual è, e quale possa essere in futuro, il ruolo dell’esperienza e del curriculum per comprendere quanto una persona sia competente per un lavoro e quanto meriti in termini economici. La domanda che mi è quindi sorta spontanea è: siamo così sicuri che oggi, e in futuro, l’esperienza manterrà il proprie ruolo e definirà il nostro status lavorativo? E il tanto amato/odiato curriculum che fine farà?
Queste domande sono, secondo me, fondamentali dal momento che:
- ancora oggi ad un colloquio di lavoro le prime cose che si chiedono sono le esperienze lavorative e/o gli anni di anzianità;
- la selezione del personale spesso si basa su una fotografia delle nostre esperienze cristallizzata sui nostri CV;
- intere carriere e posizioni si basano sull’esperienza acquisita.
L’esperienza, tuttavia, bisogna capire esattamente che cosa si intenda con questa parola. Il dizionario definisce esperienza come “nozione acquisita in un campo determinato, in seguito a prove e osservazioni empiriche”. E se il campo non è indeterminato perché sta cambiando cosa ce ne facciamo? Alla No, questa direi che non è la definizione che ci serve per fare un buon recruiting, eppure è la definizione più usata.
Vi è mai capitato di sentire frasi del tipo:
- “ti spedisco il mio curriculum così ci conosciamo meglio”
- “io ho 15 anni di esperienza nel settore, non come te che…”
- “io, se fossi in te, aspetterei ad avere più esperienza per fare, dire, scrivere, …”
Quando sento frasi di questo tipo mi vengono in mentre tre esempi. In primo luogo, se leggessimo il curriculum di qualche politico probabilmente ne rimarremo impressionati eppure degli ottuagenari in parlamento ce ne lamentiamo tutti e quindi probabilmente il curriculum non è il miglior modo per conoscersi. In secondo luogo, molte volte professionisti giovani e con poca esperienza risultano molto più brillanti e “sul pezzo” che formatori con una carriera decennale che affrontano il lavoro in modo seriale. Infine,l’ultima tipologia di frasi poi mi fa particolarmente sorridere perché solitamente chi la usa dice anche frasi del tipo “ah io alla tua età avevo già fatto…” ed inoltre mi chiedo cosa ne sarebbe stato di Facebook se Zuckerberg avesse aspettato di avere più esperienza!
Forse è il caso di trovare dei sostituti al concetto di esperienza. Possibili candidati?
- La capacità di apprendere
- La curiosità
- La passione
- La capacità di fare nuovi errori ed imparare da essi
E per il curriculum che fare? Se l’azienda ha bisogno di una risorsa umana che svolga un lavoro a basso valore aggiunto allora, forse, il curriculum può ancora essere utile. E’ come aver bisogno del sale e andare a fare la spesa: spesso non ci si sofferma sulla marca e sul tipo l’importante è che sia sale. La questione cambia se l’azienda, o chi svolge la selezione del personale, sta cercando la miglior persona possibile per fare un determinato lavoro. In questo caso, non si tratta più di andare al supermercato, ma di rivolgersi ad una di quelle botteghe biologiche dove è possibile trovare il sale Himalaiano. Se l’obiettivo è trovare un outlier, come direbbe Gladwell, ritengo sia più importante comprendere il flusso – capacità di apprendere, innovare, comunicare, relazionarsi e cambiare – piuttosto che la fotografia delle sue conoscenze e competenze. In futuro credo che in un colloquio di lavorosaranno sempre più interessanti domande quali: Cosa legge? Scrive su un blog? Quali sono le sue passioni?
In conclusione, l’esperienza è stata sostituita da alcuni degni astri nascenti (passione, curiosità, apprendimento, …) e il curriculum vitae è stato relegato a ruolo di comprimario. Manca, dunque, capire che cosa ci serve veramente per trovare lavoro. Personalmente, propongo: l’intelligenza emotiva e la mission personale ovvero la capacità di comunicare, negoziare e relazionarsi, unitamente alla coerenza tra i propri valori e la propria vision con i valori e la vision del lavoro e dell’azienda.
E se non c’è lavoro? Un’elevata Intelligenza Emotiva e una forte Mission Personale diventano un’ottima base di partenza per inventarselo!