Da poco più di un mese Google ha rivisto il formato e il layout dei sitelinks della SERP, una scelta che ha portato un bel po’ di novità per l’utente.
Ciò che emerge immediatamente è la dimensione e la numerosità dei sitelink che appaiono nel caso in cui la ricerca sia indirizzata ad un termine preciso e univoco, come ad esempio il nome di un brand.
La domanda potrebbe essere: possono questi sitelinks in qualche modo far aumentare la cannibalizzazione del traffico organico da parte degli annunci di paid search?
Ma andiamo per ordine, questo è quanto Google affermava pochi mesi fa su questo tema.
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Con questa novità, siti particolarmente articolati a livello di struttura e pagine, con un buon traffico di base e posizionamento organico, si trovano facilmente a presidiare quasi totalmente, anche graficamente, lo spazio della SERP della prima pagina. A voler fare delle valutazioni spanno metriche, l’area che i sitelink vanno a coprire è esattamente quella della “heat map” di Google, quindi tendenzialmente questa area concentrerà la maggior parte dei click su quello specifico dominio. Qui bisogna fare un distinguo, in alcuni casi nei sitelink possono apparire anche url non necessariamente interni al dominio, ma ad esso correlati. Comunque, nei casi di ricerche ben specifiche, non di termini generici come dicevamo in precedenza, questo fenomeno non si verifica mai.
I nuovi sitelink adottati da Google certamente aiutano il traffico organico di quei siti che riescono ad avere un sitelink molto nutrito e naturalmente ben posizionato per una data keyword, che nella stragrande maggioranza delle volte (se non sempre) risulta essere il brand name. La dispersione dei click verso altri url, intuitivamente si riduce moltissimo per due ragioni fondamentali:
• la keyword di ricerca è molto mirata, quindi tendenzialmente l’utente sta proprio cercando quel particolare sito
• escludendo anche dalla vista altri url “concorrenti”, la tendenza dell’utente sarà ancor più marcata a cliccare sui sitelink
Con questi presupposti emerge con forza una riflessione molto seria sul tema della cannibalizzazione della paid search nei confronti dei risultati organici. Secondo degli studi condotti da Google si è ritenuto che la paid search aumentasse le visite e che quindi la cannibalizzazione fosse un fenomeno di poco conto, pari circa ad un 10%. Oggi questa nuova presenza grafica del risultato organico, i sitelink jumbo size, possono portare ad una riflessione più seria su quanto incida la cannibalizzazione sulla spesa di un inserzionista che acquisti la keyword del proprio brand name.
Con i dovuti distinguo, quindi facendo il punto caso per caso, mercato per mercato, come già ipotizzato da altri addetti ai lavori, si può dire che l’acquisto del brand name sia nella maggior parte dei casi superfluo perché porta ad uno spreco di budget per una keyword che tendenzialmente cannibalizza i risultati organici.
La domanda che sorge spontanea potrebbe essere, ma qual è un livello preoccupante di cannibalizzazione?
A definirlo è stato Google stesso in questo documento, ma rimangono i dubbi sulla scientificità della metodologia perché spegnendo la paid search completamente (non solo i brand terms) per un periodo e analizzando il trend del traffico organico, non si può certo parlare di un esperimento ripetibile e immutabile nel tempo. Oltretutto sappiamo bene che il traffico è soggetto a fortissimi picchi di stagionalità.